APPROCCIO DATA-DRIVEN E SERVIZI ALLE PERSONE: UNA STRATEGIA WIN-WIN

 

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L’approccio data-driven, letteralmente il “farsi guidare dai dati”, è riconosciuto in tutti i settori come generatore di circoli virtuosi servizi-dati-servizi e, nel caso della sanità, come garante di cure migliori e sempre più precise, a vantaggio di persone in cura, imprese, servizio sanitario pubblico. I dati consentono infatti di prendere decisioni informate, basate su fatti oggettivi e conoscenza aumentata, che generano valore e business. Vediamo perché.

DATA-SCIENCE PER UNA PRECISION CARE

La data-science è un ambito multidisciplinare nel quale, sulla base di principi e tecniche matematiche, statistiche, di intelligenza artificiale e ingegneria informatica, si analizzano grandi quantità di dati estrapolando informazioni dettagliate funzionali all’interpretazione del contesto, alla creazione di conoscenza e all’orientamento di processi decisionali e di azioni. In ambito pharma i dati impattano direttamente sull’impiego delle terapie e dei farmaci, sulla conoscenza del loro comportamento, sulla revisione dei percorsi terapeutici e sull’impostazione di metodi dinamici che permettono di “correggere il tiro” in funzione delle informazioni che arrivano dal paziente. Nel campo della personalized medicine e della precision medicine l’industria farmaceutica riveste, dunque, non solo il ruolo di fornitrice di prodotti e di servizi, ma anche di driver di conoscenza insieme agli altri attori coinvolti nel sistema di cura quali, ad esempio, i centri che erogano le terapie e gli healthcare provider che supportano l’erogazione delle prestazioni. 

I VANTAGGI DELLA DATA-DRIVEN GOVERNANCE

L’organizzazione e la valorizzazione dei dati permettono a chi eroga il servizio di creare una vera e propria cultura delle informazioni. Avvalendosi di soluzioni tecnologiche in grado di svolgere operazioni di data analysis e data quality è possibile, nel rispetto degli obblighi previsti dalla normativa privacy, estrapolare informazioni sul profilo clinico paziente, sugli effetti delle terapie, sul contesto ambientale nel quale ə pazientə vivono/ricevono le cure, sulla soddisfazione relativa all’assistenza ricevuta.

Le soluzioni tecnologiche, tuttavia, rappresentano una condizione necessaria ma non sufficiente per il raggiungimento della cosiddetta data-driven governance. Occorre una strategia manageriale che comprenda il valore dei dati e ne sfrutti appieno il potenziale per il perfezionamento di interventi in atto e/o l’impostazione di nuove linee di sviluppo.

UNA PREZIOSA FONTE DI INFORMAZIONI

La data-driven governance in sanità rappresenta dunque il fulcro della gestione ottimale di un’organizzazione perché raccoglie e analizza dati strutturati e non, fornendo al management una preziosa fonte di informazioni. A partire dai target (tipologia, età media, ecc.) di pazientə-clientə, la raccolta dati permette, per esempio, di individuare le soluzioni di patient journey e di accoglienza più adatte potenziando i servizi sanitari maggiormente richiesti, velocizzando l’erogazione della prestazione con una conseguente riduzione delle liste d’attesa e affrontando eventuali criticità di erogazione dei servizi. I dati, inoltre, restituiscono informazioni sull’appropriatezza prescrittiva prestandosi a un pronto intervento di riduzione dei costi e taglio del surplus, agevolando la rendicontazione anche agli enti pubblici di riferimento.

 

IL DATO DIVENTA PRODOTTO

I dati devono essere pensati come veri e propri prodotti, la cui gestione deve essere affidata a professionistə (domain data product owner) (Una data strategy per la sanità italiana, Anitec-Assinform).  Per garantire efficacia ed efficienza, l’attività di raccolta dati deve permeare i servizi dedicati alle persone fin dal design dei servizi stessi. È in questa fase, infatti, che dovranno essere definiti: la natura e la tipologia di dati collezionabili nell’ambito del servizio proposto, gli obiettivi e gli strumenti ottimali di valorizzazione delle informazioni, le modalità e gli strumenti di raccolta, i parametri di privacy a tutela delle persone in cura coinvolte, le piattaforme tecnologiche da implementare.

LA GAMIFICATION NELL’EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA

 

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L’utilizzo del gioco nel contesto della formazione dei professionisti della salute.

Diversi studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali hanno evidenziato i potenziali benefici dell’utilizzo del gioco nel contesto della formazione dei professionisti della salute.

I giochi promuovono l’apprendimento, aumentano il coinvolgimento, consentono di potenziare la collaborazione e di ottenere feedback rapidi che permettono ai giocatori di testare diverse ipotesi e imparare dalle loro azioni, offrono l’opportunità di un processo decisionale privo di rischi, migliorano l’analisi dell’apprendimento. I giochi forniscono anche strumenti di autovalutazione come il punteggio e il raggiungimento di livelli progressivi. Inoltre, all’acquisizione di conoscenze, il gioco abbina lo sviluppo di abilità personali e sociali.

Con “applied game” si intende l’applicazione del gioco all’ambito educativo, nel quale può assumere diverse forme: simulazioni, serious game, palestre virtuali.

La pluralità dei giochi e delle esperienze nel giocare non è tuttavia adottabile in modo indistinto nel contesto della formazione in medicina. È necessario individuare un preciso bisogno formativo che possa essere efficacemente tradotto in modalità gioco. I criteri di progettazione del gioco influenzano, infatti, l’efficacia dei risultati di apprendimento¹, in particolare in ambito medico.

La progettazione di percorsi didattici in campo sanitario deve tenere conto di alcuni principi:

  • l’apprendimento è facilitato se la didattica si svolge in un contesto pertinente e realistico;
  • l’apprendimento è un processo collaborativo, nel quale i discenti manifestano i loro bisogni e mettono a fattor comune le loro esperienze;
  • occorre valorizzare l’esercizio del pensiero critico, della flessibilità, dell’orientamento al problem solving, del lavoro in team;
  • è importante sperimentare ex ante ed allenare le capacità di decisione e/o di utilizzo di specifici strumenti.

La formazione continua si pone infatti come obiettivo primario la modifica della pratica professionale e non solo l’acquisizione di conoscenze e skills.

Agudelo-Londoño S, González RA, Pomares A, et al. A systematic review about serious games for medical education. The role of effective design. Revista Cubana de Educación Médica Superior. 2019;33(2):1-16.

IL KNOWLEDGE SHARING NEL LAVORO

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Parlare di knowledge sharing significa parlare di una condivisione che mira ad abbandonare una visione individualista del lavoro ed abbracciarne una più collettiva e solidale. Non basta più avere collegamenti saldi tra i reparti di un’azienda poiché le informazioni devono venire condivise tra i singoli individui. Così facendo, si entra a far parte di un processo che porta l’azienda a crescere e a svilupparsi anche su un piano orizzontale.

Ma cosa si intende con “conoscenza”? 

All’interno di un’organizzazione lavorativa ve ne sono due tipi. La prima, detta esplicita, è costituita da tutte quelle informazioni scritte e consultabili, come le policy aziendali, i contratti, i dettagli sui prodotti e così via. La seconda è invece detta conoscenza implicita  e consiste in tutte quelle informazioni che si apprendono durante il lavoro, spesso maturate in anni di esperienza.

Per fare knowledge sharing va innanzitutto eliminata la convinzione che le informazioni migliori provengano da coloro che ricoprono cariche più alte in azienda: quello che è invece necessario è stimolare la condivisione ad ogni livello dell’organizzazione, indipendentemente dalla posizione gerarchica degli individui. 

I risultati di questo case study mostrano come una buona condivisione della conoscenza tra le persone che collaborano ad uno stesso progetto porta ad un’efficienza maggiorata. Attraverso l’utilizzo di una piattaforma mirata all’ottimizzazione delle prestazioni operative, si è ridotto considerevolmente il numero di email, chiamate e riunioni, facilitando così la collaborazione tra diverse regioni e funzioni aziendali. Questi miglioramenti di produttività hanno aumentato la motivazione attraverso l’instaurazione di un obiettivo comune all’intera organizzazione.

Vantaggi

I peggiori nemici del knowledge management sono il tempo impiegato per l’accesso alle informazioni e la scarsa volontà di chi deve fruirne; parliamo quindi dell’impatto che una buona gestione delle informazioni comporta sul lavoro.

Quali sono i vantaggi del knowledge sharing? Come affrontato in questo interessante studio dal titolo KNOWLEDGE SHARING TOOLS AND KNOWLEDGE TRANSFER: A MEDIATING ROLE OF MOTIVATION, la condivisione porta beneficio a tutti: i dipendenti, lavorando con le conoscenze e il supporto degli altri, saranno più produttivi e valorizzati. Il dialogo, la formazione e lo scambio, portano ad una procedura lavorativa più proficua e stimolante, che non risente della paura dei singoli di essere espropriati delle proprie conoscenze e capacità. Tale processo porta a un aumento dello spirito di appartenenza all’organizzazione, al livello di motivazione e coinvolgimento, alla fiducia reciproca e alla collaborazione. Vi è inoltre un fattore emotivo che riguarda gli individui, i quali, quando sentono di far parte di una realtà che investe su di loro, non solo lavorano meglio e più serenamente, ma non rischiano di ostacolarsi l’un l’altro mantenendo ognuno una prassi lavorativa differente. 

I due approcci al knowledge management

La condivisione della conoscenza, dunque, può facilitare e valorizzare molteplici processi, quali l’onboarding, l’integrazione tra aree, l’innovazione, ma anche il benessere delle persone, favorendo un ambiente che privilegia lo scambio, la curiosità e il confronto continuo. Per questi motivi, le modalità con cui condividere conoscenze nelle organizzazioni sono da diversi anni al centro di molti studi e diversi approcci. 

Il dibattito sul knowledge management è sicuramente molto acceso e le varie definizioni di conoscenza aiutano a proporre differenti impostazioni sul come affrontare un progetto di questo tipo. 

La conoscenza viene intesa da alcuni come una risorsa “cristallizzata”, un oggetto sfruttabile e riutilizzabile. Diversamente, altri approcci ne individuano le particolarità nell’aspetto sociale: la conoscenza dunque nascerebbe e si modificherebbe continuamente attraverso le pratiche sociali di una comunità lavorativa, per cui “soggetto ed oggetto di conoscenza si definiscono (e si costruiscono) a vicenda” (Gherardi, 2003).

Se prevale il primo approccio, la soluzione di un progetto di KM può essere ricondotta ad una banca dati che gestisca procedure e manuali, i quali favoriscono la “cristallizzazione” della conoscenza e diventano i contenitori dell’apprendimento.

Il knowledge management in HNP

Crediamo che, attraverso un’operazione di sintesi, si possa integrare il primo approccio al secondo. E’ dunque necessario capire come gestire un processo organizzativo e al contempo interrogarsi su quale contesto organizzativo favorisca l’apprendimento. 

Rendere operativo il valore della condivisione per un provider di servizi per la salute è un compito importante; con la continua crescita dell’organizzazione, la sfida che intendiamo intraprendere è quella di favorire un ambiente curioso, che fa della condivisione della conoscenza un elemento fondamentale per la collettività e per le singole persone.

Gli obiettivi su cui stiamo lavorando sono:

  • La creazione di luoghi dove sedimentare le conoscenze sviluppate in questi anni. Abbiamo avviato un progetto che mira a raccogliere e organizzare il materiale formativo a supporto dei PSP, che risulta un’importante fonte conoscitiva riguardante le patologie rare e croniche, le pratiche di assistenza domiciliare e gli strumenti di ascolto e supporto ai pazienti. 
  • Sostenere le diverse comunità di pratiche che custodiscono i saperi esperti nella nostra organizzazione (l’area medica e quella infermieristica, quella gestionale, la farmacovigilanza ecc.). Per questo vogliamo dedicare del tempo alla condivisione per creare occasioni di networking formale e informale, fornendo spazi adibiti alla condivisione e alla trasmissione della conoscenza (un primo esempio è stata l’esperienza avviata con HR Radical intorno al tema degli obiettivi, ai team interfunzionali avviati, ecc.).
  • Promuovere una cultura orientata alla curiosità e alla diversità, con persone tolleranti delle idee altrui e amanti del sapere (su questa tematica si muove il progetto DEI)
  • Rafforzare la capacità di networking e knotworking (Engeström, 1999), ovvero  riuscire a tessere relazioni e generare nodi, alleanze, che si sviluppino sia dentro che fuori l’organizzazione. 

PSP E DESIGN SOVRANAZIONALE

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Il numero crescente, negli ultimi 10 anni, di pubblicazioni e studi osservazionali relativi ai PSP in Europa mostra la rilevanza del loro impatto sull’assistenza sanitaria. Tuttavia, come dimostrato dalla letteratura di settore, per raggiungere il pieno potenziale, occorre sviluppare linee guida e raccomandazioni che armonizzino a livello europeo la definizione di PSP, standardizzandone i metodi, misurando sistematicamente il loro impatto e sviluppando tecnologie digitali e modelli assistenziali che possano integrarsi con l’offerta di ogni singola nazione.

Le sfide della glocalizzazione

Ogni PSP ha sfide uniche e richiede una progettazione targettizzata su obiettivi, destinatari e paesi. Non esiste un metodo plug-and-play replicabile tra territori differenti, anche se è possibile definire un set-up di componenti standardizzate con la possibilità di avere adattamenti dell’ultimo miglio differenziando per paese. Nella relazione pharma-provider diventa pertanto cruciale creare valore per tutti gli stakeholders del PSP, monitorare e analizzare i servizi e i prodotti erogati tramite un approccio data-driven, ottimizzare l’applicazione di norme e GDPR in materia di trattamento di dati personali e privacy.

Il ritorno economico

Le aziende healthcare oggi sono chiamate a sviluppare cure e servizi che accompagnino le persone affette da malattie rare, croniche o degenerative (e i loro caregiver) lungo tutto lo stay in therapy. Il PSP rappresenta il modello che può soddisfare questo connubio terapie-servizi garantendo la sicurezza del paziente e la farmacovigilanza tramite il monitoraggio di tutti gli effetti collaterali potenzialmente gravi; una migliore gestione della malattia, specialmente nelle condizioni di cronicità e di monitoraggio nel lungo periodo; una maggiore efficacia del trattamento.

In un documento informativo del 2018 elaborato dalla Confederazione NHS, che sostiene e parla del sistema sanitario in Inghilterra, Galles e Irlanda del nord, è stato stimato che nel Regno Unito sono oltre 15 milioni i pazienti con patologie long-term la cui assistenza rappresenta il più grande consumo di risorse del SSN con una media del 55% degli appuntamenti fissati con il medico di base, il 68% degli appuntamenti ambulatoriali e di pronto soccorso e il 77% dei giorni di degenza. Migliorare l’assistenza dei pazienti cronici è dunque l’obiettivo per gestire al meglio i budget sanitari. La progettazione di PSP efficaci che puntino alla gestione assistenziale e digitale, vicina al paziente, rappresenta la soluzione a questa sfida.

Digital support e home therapy

Uno studio condotto da Rock Health Advisory, acceleratore di innovazione sanitaria digitale, relativo alla crescita di investimenti e startup digital health ha mostrato come l’interesse degli investitori nella salute digitale gestita a distanza, tramite piattaforme mHealth, abbia prodotto solo nel 2017 un giro d’affari di 6 miliardi di dollari. Le tecnologie digitali richiedono certamente attenzione sia dal punto di vista della struttura del servizio fornito – per assicurare che vi siano funzionalità idonee a garantire il rispetto di obblighi come quello della Pharmacovigilance – sia sotto l’aspetto della tutela dei dati personali, ma aprono nuovi scenari di personalizzazione del PSP e di snellimento delle procedure a livello multipaese. Tramite le innovazioni tecnologiche e le soluzioni software è infatti possibile dematerializzare il patient journey ed efficientare tutto il processo di cura e l’attività delle figure coinvolte: dal paziente al medico fino agli operatori sanitari. Nel caso, invece, dell’applicazione del supporto di tipo assistenziale, come l’home therapy, è necessario disporre di una conoscenza e un assetto che, oltre a integrarsi con l’offerta di ogni singola realtà nazionale, rispetti procedure e regolamenti previsti dagli enti sovranazionali preposti come per esempio l’European Medicines Agency (EMA), il Committee for Advanced Therapies (CAT), il Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP).

ASSISTENZA TERRITORIALE: CURE DOMICILIARI E INFERMIERE DI COMUNITÁ

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A fornire una panoramica sui nuovi modelli organizzativi e sugli standard per lo sviluppo dell’assistenza sanitaria – come già descritto in un nostro precedente articolo – è il nuovo quadro normativo rappresentato dal Decreto Ministeriale 77 del 2022 e dai Contratti istituzionali di sviluppo (CIS). Tali norme e contratti hanno reso attuativi parte degli obiettivi inclusi nella Missione 6 Salute del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato nel 2021 con uno stanziamento di 20,2 miliardi di euro. Obiettivo condiviso di tale scenario normativo è l’allineamento dei servizi ai bisogni di cura dei pazienti, l’equità di accesso e il rafforzamento della prevenzione e dei servizi sul territorio con estensione a ogni area del Paese.

La casa come primo luogo di cura

Il tema della casa come primo luogo di cura emerge dall’agenda di riforme del PNRR. Il Piano ha infatti previsto un investimento di 2,7 miliardi per il potenziamento dell’assistenza domiciliare. La finalità è aumentare il volume delle prestazioni fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, almeno il 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee), rispetto all’attuale media italiana di poco superiore al 6% (Istat 2021). Oltre al PNRR e al DM 77/2022, il 21 marzo 2023 il Parlamento ha inoltre approvato definitivamente la legge delega in materia di politiche in favore delle persone anziane contenente la riforma della non autosufficienza. In tema di domiciliarità la legge punta anzitutto all’unitarietà delle risposte, attraverso l’integrazione dei servizi domiciliari erogati dalle Asl, tramite l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), e dai Comuni, tramite il Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD). Parallelamente, la legge promuove la razionalizzazione dell’offerta di prestazioni socio-sanitarie tenendo conto delle condizioni dell’assistito, nonché la previsione di interventi di durata e intensità adeguate alle condizioni di salute della persona.

Il ruolo dell’infermiere di famiglia e di comunità

Un ruolo di rilievo nel processo di implementazione dell’assistenza territoriale e domiciliare è ricoperto dall’infermiere di famiglia e comunità (IFeC). Secondo Barbara Mangiacavalli, Presidente Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Fnopi), lo standard stabilito è di un infermiere ogni 30mila abitanti e il fabbisogno complessivo è di circa 20mila infermieri di famiglia e comunità e di altrettanti 20mila per i vari nuovi servizi sul territorio. Questa presenza capillare consentirebbe un miglior monitoraggio dello stato di salute della popolazione, con ricadute in termini di prevenzione degli eventi acuti, razionalizzazione delle ospedalizzazioni, aumento della qualità di vita dei cittadini e ottimizzazione delle risorse impiegate. L’IFeC, infatti, operando su diversi livelli di complessità e in collaborazione con tutti i professionisti della comunità, monitora l’aderenza terapeutica, l’empowerment e valuta i sistemi di telemonitoraggio, ed è colui che attiva consulenze infermieristiche, si occupa della formazione dei caregiver e delle persone di riferimento. Collabora, inoltre, alla realizzazione della continuità ospedale-territorio, contribuendo alla definizione di protocolli, procedure, percorsi e al supporto tecnico-professionale ai gruppi di auto mutuo aiuto.

Come vincere le sfide future: l’azione sinergica fra servizio sanitario e provider 

Nel contesto delineato tre sono le grandi sfide a cui la domiciliarità è chiamata a rispondere perché la casa diventi realmente il primo luogo di cura: l’estensione dell’assistenza, il superamento dell’approccio prestazionale, l’introduzione di modelli di servizio innovativi. Le cure domiciliari dovranno raggiungere un maggior numero di utenti, con un’intensificazione delle visite e della durata media di presa in carico. Occorrerà puntare ad un approccio care multidimensionale, basato su uno sguardo complessivo della condizione della persona e dei suoi molteplici fattori di fragilità (Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, 2021). E, infine, sarà necessario proporre soluzioni innovative, ad alta integrazione, tecnologicamente avanzate, con monitoraggio clinico e ambientale diffuso e continuativo. Si tratta di sfide di ampia portata che non possono che essere affrontate tramite modelli organizzativi integrati in cui pubblico e privato co-progettano e co-erogano i servizi. Soltanto tramite l’azione sinergica fra SSN e operatori privati sarà possibile ridisegnare i flussi di cure domiciliari e le modalità di erogazione, adattandoli alle reali esigenze dei pazienti, anche grazie al supporto di strumenti tecnologici innovativi. Un percorso ambizioso per sfide ambiziose: la costruzione di modelli integrati e multifattoriali di assistenza a domicilio, in grado di  garantire continuità assistenziale, cure multidisciplinari e supporto all’autogestione.

I NUOVI MODELLI DELL’ASSISTENZA TERRITORIALE: LE CASE DELLA COMUNITÁ

Nuovi modelli organizzativi dell'assistenza sanitaria_le case della comunità

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Quali sono i nuovi modelli dell’assistenza territoriale? A fornirci una panoramica è il nuovo quadro normativo rappresentato dal Decreto Ministeriale 77 del 2022 e dai Contratti istituzionali di sviluppo (CIS). Si tratta di due importanti traguardi che garantiscono equità di accesso alle cure e rafforzano la prevenzione e i servizi sul territorio.

L’attuale scenario strategico del mondo sanitario è dettato dalla nuova agenda normativa. Il punto di svolta è stato sicuramente la Missione 6 Salute del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato nel 2021 con uno stanziamento di 20,2 miliardi di euro. Il Piano ha dato nuovo impulso alle riforme e agli investimenti puntando ad allineare i servizi ai bisogni di cura dei pazienti in ogni area del Paese. Una larga parte delle risorse del PNRR, infatti, è destinata a migliorare le dotazioni infrastrutturali e tecnologiche, a promuovere la ricerca e l’innovazione e a sviluppare competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali del personale. L’applicazione di tali obiettivi è stata resa possibile dall’approvazione di norme e contratti. Da un lato, il Decreto Ministeriale (DM) 77 del 2022 ha definito i modelli e gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale. Dall’altro lato, sono stati sottoscritti i Contratti istituzionali di sviluppo (CIS) tra il Ministero della Salute e ciascuna Regione e Provincia Autonoma per accelerare la realizzazione di tali progetti strategici. DM 77 e CIS rappresentano due importanti traguardi per rendere sempre più efficace il Sistema Sanitario Nazionale, per garantire equità di accesso alle cure e per rafforzare la prevenzione e i servizi sul territorio.

Sanità più vicina alle persone

La sanità più vicina alle persone, i bisogni di cura dei pazienti e il superamento delle disuguaglianze rappresentano il cuore della riforma dell’assistenza territoriale. In particolare, il DM 77 ha introdotto nuovi modelli organizzativi dell’assistenza di prossimità. Il nuovo assetto istituzionale e organizzativo punta a conseguire standard qualitativi in linea con le migliori prassi europee tramite: le Case della comunità, la Centrale operativa 116117, la Centrale Operativa Territoriale (COT), l’Infermiere di famiglia e comunità, l’Unità di continuità assistenziale, l’Assistenza domiciliare, l’Ospedale di comunità, la Rete delle cure palliative, i Servizi per la salute dei minori, delle donne, delle coppie e delle famiglie, la Telemedicina. 

Le case della comunità

Le Case della comunità rappresentano uno dei primi interventi sanitari e di innovazione di servizio alle quali è associato l’obiettivo (dichiarato nel DM 77) di rendere concreta l’assistenza di prossimità per la popolazione di riferimento (come descritto nel Rapporto OASI 2022 a cura di CERGAS – Bocconi. Aperte fino a 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, le Case della comunità sono il luogo fisico e di facile individuazione dove i cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria e socio-sanitaria. Si tratta dunque di strutture pubbliche del SSN di prossimità che promuovono un modello di intervento integrato e multidisciplinare, costituiscono un progetto di comunità e rappresentano il luogo in cui il SSN si integra con il sistema dei servizi sociali. 

A che punto siamo?

Il PNRR ha previsto l’attivazione di almeno 1350 Case della comunità entro il 2026. Ma ad oggi, a che punto siamo? Secondo gli ultimi dati 2022 del GEOPortale PNRR Salute dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, Agenas, il numero di interventi previsti per la realizzazione delle Case della Comunità sono 1.430. Di questi, il 38% è distribuito al nord, il 30% al sud, il 18% al centro e il 14% nelle isole. Le strutture che in Italia ospiteranno le Case della Comunità saranno in gran parte oggetto di interventi di ristrutturazione di edifici già esistenti (74%), ma in alcuni casi prevederanno nuove costruzioni o ampliamenti (22%) e opere di abbattimento e ricostruzione (4%). 

La partnership delle pharma con le istituzioni per progettare nuovi servizi 

Nello scenario di una salute sempre più al centro delle politiche pubbliche, le pharma devono prepararsi ad affiancare le istituzioni centrali e locali per la progettazione di nuovi servizi in un’ottica di collaborazione tra pubblico e privato. Le nuove partnership dovranno prevedere il coinvolgimento di healthcare provider ed healthcare professional a supporto di un approccio basato su una gestione e un’assistenza sanitaria sempre più connessa e integrata con il territorio, che favorisca lo sviluppo di una medicina preventiva, di prossimità, personalizzata, partecipativa, precisa e predittiva, incentrata sulle esigenze del singolo cittadino. Sarà perciò fondamentale implementare progetti e servizi strategici in linea con i bisogni dei sistemi sanitari regionali individuando soluzioni innovative in grado di integrare la proposta dell’industria farmaceutica all’interno dei nuovi modelli.

FARMACI E NUOVI MODELLI DI BUSINESS: IL SUCCESSO DEI PRODOTTI PASSA DAI SERVIZI

Farmaci e nuovi modelli di business

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I farmaci necessitano di nuovi modelli di business per restare competitivi. Il successo dei prodotti, dunque, passa dai servizi e dal loro valore strategico. Vediamo come erogare servizi avanzati elaborando la giusta strategia.

Negli ultimi anni tutte le filiere industriali hanno assistito a un vero e proprio cambio di paradigma nei propri modelli di business, sempre più orientati alla valorizzazione strategica dell’erogazione di servizi.

Le imprese scelgono di accrescere la customer value proposition e la propria capacità competitiva attraverso la creazione di nuove e innovative soluzioni prodotto-servizio. Si tratta della cosiddetta servitization ossia della propensione di estendere la propria offerta garantendo servizi avanzati a supporto non solo del prodotto, ma anche dei clienti, dei processi e delle organizzazioni. In  casi estremi si arriva anche alla completa sostituzione della vendita del prodotto con quella del puro servizio.

Questo fenomeno ha ampiamente coinvolto anche l’industria del pharma, come dimostrato dagli sforzi e dagli investimenti effettuati in questa direzione dalla stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale di settore. 

La servitization del pharma e il valore delle service strategies

In questo nuovo scenario, la tendenza delle aziende farmaceutiche è quella di superare le forme di offerta tradizionali. Si passa dunque dall’incentrare le risorse economiche esclusivamente su principi attivi e farmaci a indirizzarne una parte su nuovi modelli rivolti a pazienti e stakeholder della filiera salute proponendo servizi a valore aggiunto Beyond the pill (Value Added Services Report di Eyeforpharma).

Questi servizi si traducono in offerte diverse a seconda dell’interlocutore. Per l’industria sono strumenti di supporto nell’intero ciclo di vita del farmaco (adozione, aumento dell’aderenza, contenimento dei drop-out, allungamento dello stay in therapy, fidelizzazione dei key opinion leader). Per i pazienti, invece, si declinano in forme di accompagnamento in tutte le fasi della patient journey, incrociando i bisogni degli specialisti.

Si tratta di soluzioni complesse (patient support program, hospital capacity, patient solution) che, affinché risultino vincenti, richiedono l’elaborazione di efficaci service strategies.

L’importanza di un design efficace

L’efficacia delle service strategies, ovvero la loro funzionalità rispetto al lancio di nuovi prodotti e/o al loro posizionamento, è strettamente correlata allo svolgimento di un corretto lavoro di design.

Il contributo dei providers in questo senso può essere quello di affiancare, tramite l’impiego di specifici e robusti strumenti di analisi (survey, focus group, advisory board, interviste one to one), le aziende farmaceutiche in tutte le tappe previste dalla progettazione. Tali tappe prevedono l’analisi degli obiettivi di business, l’ascolto degli stakeholders e l’identificazione dei bisogni che portano alla definizione di una strategia di sintesi di questi tre elementi.

 

 

GROWTH MINDSET: INTERVISTA A GIOELE ROMANO

Growth Mindset

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Il Growth Mindset è un modello di pensiero e di comportamento resiliente, flessibile e creativo. Un tipo di mentalità che se interiorizzata nelle aziende e organizzazioni può prepararci a cogliere a pieno la portata delle innovazioni contribuendo alla crescita in ottica S.M.A.R.T. Per mettere in pratica il Growth Mindset occorre che ciascuna persona, ciascuna risorsa, coltivi una mentalità basata su un mix di impegno, strategia e aiuto da parte degli altri. Ne abbiamo parlato con Gioele Romano, HR Transformation Manager, Learning & Development Experience Designer, Digital Culture & Mindset.  

Growth Mindset: quanto queste due parole sono importanti per la crescita di un’azienda?

Il Growth Mindset è fondamentale per la crescita di un’azienda perché favorisce l’approccio al cambiamento e alla sfida come opportunità di apprendimento e sviluppo. In questo modo, le persone sono più disposte ad affrontare le sfide e ad adattarsi alle nuove situazioni, migliorando la performance aziendale nel lungo termine.

Perché per diventare S.M.A.R.T. people e S.M.A.R.T. organization è necessario passare da un Fixed Mindset a un Growth Mindset?
Solo un approccio di apertura al cambiamento e all’apprendimento continuo consente di acquisire le competenze e le conoscenze necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati. Un Fixed Mindset, invece, limita le possibilità di crescita e sviluppo individuale e aziendale.

Tramite quali strategie è possibile cambiare Mindset?

Esistono diverse strategie per cambiare Mindset, tra cui la pratica dell’auto-riflessione e dell’auto-osservazione per identificare i propri limiti e le proprie convinzioni limitanti, l’apertura al feedback e alla sperimentazione per acquisire nuove conoscenze e competenze, la costruzione di una cultura aziendale che favorisca il Growth Mindset, e infine l’adesione a programmi di formazione e sviluppo personale per acquisire nuove abilità e competenze.

 

 

S.M.A.R.T. WORKING: INTERVISTA AD ALESSANDRO RIMASSA

Unmet needs

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Come sta cambiando l’esperienza di lavoro? Che ruolo hanno gli uffici? Come gestire al meglio l’organizzazione e le relazioni? Cosa può fare ognuno di noi? Ne abbiamo parlato con Alessandro Rimassa, imprenditore con una grande esperienza su education, future of work e digital transformation. Ha fondato Radical HR, la prima edtech italiana verticale sul mondo HR, e prima Talent Garden Innovation School, business school leader sui temi del digitale e dell’innovazione, punto di riferimento per studenti e aziende.

Che cos’è il lavoro S.M.A.R.T.?

Il lavoro S.M.A.R.T. (Smart, Measurable, Achievable, Relevant, Time-bound) è un approccio al lavoro che si concentra sulla flessibilità, l’efficienza e la produttività. Il lavoro S.M.A.R.T. si concentra sulle attività da svolgere e sugli obiettivi da raggiungere, piuttosto che sull’orario e sul luogo di lavoro.
È caratterizzato dalla possibilità di lavorare da remoto o di avere orari di lavoro flessibili, ma è solamente una possibilità. Una persona potrebbe lavorare in S.M.A.R.T. working andando tutti i giorni in ufficio, le fondamenta rimangono le attività e gli obiettivi.

Lo S.M.A.R.T. working può essere oggetto di misurazione?
Sì, in particolare, i risultati produttivi possono essere misurati in base agli obiettivi prefissati, ai tempi di consegna e alla qualità del lavoro svolto. Inoltre, possono essere utilizzati strumenti come il performance management, l’analisi dei dati e i feedback per valutare l’efficacia del lavoro S.M.A.R.T.

La progettazione di un nuovo “patto del lavoro” può consentire alle persone di costruire il loro personale life balance creando il connubio felicità-produttività. È questa la chiave per fidelizzare le risorse e attrarre nuovi talenti?

Sì, la progettazione di un nuovo “patto del lavoro” che consenta alle persone di creare il proprio life balance è una chiave importante per attrarre nuovi talenti, attraction, e fidelizzare le risorse interne, continuo attraction. Le persone sono sempre più alla ricerca di un equilibrio tra vita privata e lavoro e sono disposte a lavorare in un’azienda che offra questa opportunità. Inoltre, uno stile di lavoro più flessibile e personalizzato può aumentare la soddisfazione delle proprie risorse e la loro produttività, portando così ad un connubio felicità-produttività.

Modernizzare la relazione tra impresa e leadership significa costruire fiducia reciproca e trasparenza nella comunicazione. Quali sono i risvolti di questo approccio?

La modernizzazione della relazione tra impresa e leadership attraverso la costruzione di fiducia reciproca e trasparenza nella comunicazione può avere diversi risvolti positivi. In primo luogo, la fiducia reciproca può aumentare la motivazione e la soddisfazione delle proprie persone, poiché si sentono più coinvolti e apprezzati all’interno dell’organizzazione. Inoltre, la trasparenza nella comunicazione può ridurre la disinformazione e la diffusione di voci all’interno dell’organizzazione, migliorando così l’efficienza e la produttività. Infine, la modernizzazione della relazione tra impresa e leadership può anche portare a una migliore gestione del cambiamento e ad una maggiore capacità di adattamento alle nuove sfide del mercato.