COMUNICARE I PSP IN UNA DIMENSIONE CONDIVISA DI ORGANIZZAZIONE E NUOVA CULTURA SANITARIA

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Creare consapevolezza sui Patient support program (PSP) tramite una comunicazione efficace ha un duplice vantaggio: stimola da un lato l’healthcare education di professionisti e professioniste sanitarie privilegiando un approccio responsive in tema di competenze specialistiche e needs met, crea dall’altro una rete informativa orientata a una dimensione collettiva e condivisa di organizzazione e nuova cultura sanitaria che coinvolge istituzioni e giurisdizione, pharma, provider di servizi e presidi territoriali di prossimità. Ma quali sono i canali di comunicazione funzionali all’ottimizzazione dei PSP e come creare touchpoint tra tutte le professionalità coinvolte e protagoniste del processo informativo? 

INTERAZIONI DAL VIVO E STRUMENTI DIGITALI: L’IMPORTANZA DI SCEGLIERE I CANALI GIUSTI

Un’indagine 2019 dedicata a pazienti oncologici (PURE Report, studio indipendente co-creato con HCP per misurare il loro livello di soddisfazione) rivela che esistono differenti canali informativi di preferenza inerenti i PSP all’interno del variegato capitale umano che lavora in ambito healthcare. Per incrementare la consapevolezza sui PSP il personale HCP utilizza canali preferenziali come: sales representative, farmacie specializzate e siti web. Il personale medico specialistico privilegia invece le interazioni dal vivo, mentre il personale medico di supporto utilizza i siti web aziendali e i materiali stampati. Accrescere la conoscenza dei PSP tramite una strategia ben progettata e applicata consente non solo di fare una valutazione più approfondita dei programmi, ma incoraggia HCP e personale medico a confrontarsi più volentieri e più consapevolmente con le persone assistite a vantaggio dell’aderenza alla terapia. 

GLI OSTACOLI AL SUCCESSO DI UN PSP

Tra i motivi principali per cui HCP, personale medico prescrittore e persone idonee ai programmi di supporto non riescono a utilizzare un PSP sono: la mancanza di conoscenza del programma, la sfiducia in tema di effettiva accessibilità e benefici, la complessità. A sottolinearlo il report Expanding Awareness of Patient Support Programs condotto dall’azienda tecnologica statunitense Phreesia che fornisce soluzioni per la gestione di pazienti nel settore sanitario. Nel dettaglio lo studio, condotto nel 2021 negli Stati Uniti, rivela come:

  • tra pazienti potenzialmente idonei solo il 3% utilizza i PSP percependo scarso supporto (anche tramite le piattaforme digitali), mancanza di informazioni sui farmaci, assenza della componente education sulle malattie, scarsa assistenza finanziaria, sfiducia nella concreta soddisfazione dei met needs;
  • tra il personale HCP solo il 42% dichiara di avere chiara la panoramica dei programmi disponibili e solo l′11% ritiene che il tempo necessario per apprendere i programmi superi il valore che offrono;
  • il personale medico specializzato preferirebbe utilizzare programmi semplificati e user-friendly, di facile accesso, comprensione e navigazione che incoraggino all’utilizzo e al coinvolgimento, anche delle persone assistite.

In Italia, stime ottenute dall’Osservatorio Scenario Salute di BHAVE (dati riferiti a dicembre 2021), indicano che:

  • circa l’11% delle persone con patologie croniche oppure oncologiche è iscritto a un PSP ma meno del 4% utilizza con regolarità questi strumenti;
  • le possibili cause di mancata aderenza da parte delle persone assistite è influenzata dalla cronicità della patologia, dalla asintomaticità, dalla comorbilità e dalle caratteristiche personali (disabilità, anzianità, deficit cognitivi);
  • il 22% di medici iscritti a PSP abbandonano il programma per l’impegno richiesto da questa attività e per la gestione troppo complessa del PSP.

I report dimostrano che, senza una comprensione di quanto il PSP faciliti e renda più accessibile l’accesso alle cure, tutte le figure coinvolte (HCP, personale medico e pazienti) non sono motivate all’utilizzo e all’iscrizione al programma. Inoltre un PSP è valido quando è in grado di fornire al paziente vicinanza, cura e assistenza, con la possibilità di risolvere alcuni possibili dubbi tramite il coinvolgimento del personale medico, elemento imprescindibile, indipendentemente da quanto il PSP sia digitalizzato e automatizzato. Come superare dunque questi ostacoli?

OTTIMIZZARE I RISULTATI ANCHE TRAMITE UNA RIORGANIZZAZIONE NORMATIVA

Come affrontare le barriere all’adozione dei PSP? La risposta è: ottimizzando i servizi e la gestione delle persone assistite tramite la semplificazione nell’accesso alle terapie (a alle informazioni) con un approccio che analizzi i dati lungo tutto il percorso di stay on therapy e che integri sempre di più il programma nel flusso di lavoro della pratica del medico incentivando percorsi education rivolti al personale healthcare professional. I PSP di nuova generazione, per minimizzare la mancata aderenza, hanno incorporati al loro interno NUDGE (stratagemmi comportamentali basati sulla psicologia della salute e sul pensiero critico) attraverso il coinvolgimento di personale infermieristico ed healthcare professional, per aiutare le persone assistite a modificare i propri comportamenti.

A giocare un ruolo cruciale nell’ottimizzazione e successo dei PSP ci sono anche le norme che regolamentano la pubblicità dei Patient support program, soggetti a differenti giurisdizioni. A livello europeo, per esempio, l’obiettivo è mantenere restrizioni legali sulla pubblicità relativa ai PSP per garantire l’obiettività e la neutralità nel trattamento medico vietando alle aziende farmaceutiche di incentivare la raccomandazione, prescrizione, acquisto, vendita, fornitura o somministrazione di farmaci e servizi correlati. E in Italia?

LE LINEE GUIDA FARMINDUSTRIA

I PSP non sono espressamente regolamentati dalla legge italiana e, per tale motivo, le linee guida emanate da Farmindustria risultano utili nell’identificazione delle best practice di mercato che individuano servizi sanitari aggiuntivi rispetto a quelli offerti da ospedali e organizzazioni sanitarie. In merito alle attività di comunicazione del programma, le linee guida Farmindustria, indicano che il PSP e il materiale informativo correlato non devono avere fini promozionali, ma unicamente funzionali alla comunicazione di informazioni necessarie all’utilizzo appropriato del farmaco promuovendo la compliance alla somministrazione. Le aziende farmaceutiche hanno la responsabilità complessiva del programma pur potendo affidarsi a un provider per le attività di implementazione di servizi, tramite HCP qualificati, a favore delle persone assistite.

CLINICAL SUPPORT PROGRAM COME STRUMENTO PER SPERIMENTARE LA PARTNERSHIP PUBBLICO PRIVATO

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Avvantaggiarsi della velocità, dei capitali e delle progettualità del settore privato per valorizzare le competenze e il ruolo delle organizzazioni sanitarie. La Partnership Pubblico Privato (PPP) è una forma vincente di cooperazione tra soggetti pubblici (aziende sanitarie) e privati (aziende farmaceutiche) che finanzia, costruisce e gestisce infrastrutture o fornisce servizi di interesse pubblico. In ambito sanitario la PPP può essere sperimentata, prima di essere formalizzata, tramite lo strumento del Clinical Support Program. Per quale motivo? I CSP valutano preliminarmente la sostenibilità e l’efficacia di un servizio, in una sorta di banco di prova a costo zero per il soggetto pubblico, che possa poi trasformarsi in un vero e proprio modello organizzativo-gestionale-assistenziale consolidabile in partenariato.

QUANDO E PERCHÉ NASCE LA PPP

La disciplina normativa della Partnership Pubblico Privato in Italia si è evoluta nel tempo adattandosi ai cambiamenti economici e alle esigenze di modernizzazione delle infrastrutture pubbliche. Il concetto di PPP è stato formalizzato con l’introduzione del Decreto Legislativo n. 163/2006, noto come Codice dei Contratti Pubblici. Questo decreto ha rappresentato il primo tentativo “strutturato” di regolamentare le varie forme di cooperazione tra enti pubblici e privati, ispirandosi alla normativa europea. In particolare, il Codice dei Contratti ha recepito le Direttive Europee 2004/17/CE e 2004/18/CE mettendo a sistema strumenti come la concessione di lavori pubblici e la finanza di progetto (project financing). Un’importante revisione della normativa è poi avvenuta con il Decreto Legislativo n. 50/2016, il 2° Codice dei Contratti Pubblici, che ha recepito le Direttive Europee 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE. Questo Testo unico ha ampliato e aggiornato la regolamentazione della PPP per garantire maggiore trasparenza (rafforzando il ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ANAC), concorrenza e flessibilità (semplificando le procedure per favorire il ricorso alla PPP), con un’attenzione specifica alla sostenibilità dei progetti. Infine negli ultimi anni, a causa della crisi economica e della necessità di rilanciare gli investimenti infrastrutturali, sono stati emanati vari provvedimenti per semplificare e velocizzare le procedure di PPP, come la legge n.120/2020 sulle semplificazioni in materia di contratti pubblici e, più recentemente, il D.Lgs. 36/2023 (3° Codice dei contratti pubblici), fino ad arrivare al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che ha dato un forte impulso alla PPP tramite fondi da utilizzare in collaborazione con il settore privato.

PRO E CONTRO DELLA PARTNERSHIP PUBBLICO PRIVATO IN SANITÁ

I vantaggi della PPP:

  • La possibilità di accedere a finanziamenti privati riducendo il peso dell’investimento a carico dell’organizzazione sanitaria pubblica
  • La condivisione dei rischi tra pubblico e privato a favore di una maggiore efficienza gestionale
  • L’opportunità, da parte del settore pubblico, di ampliare la propria offerta di servizi sulla base di input progettuali provenienti dal settore privato.

Le criticità:

  • La complessità delle procedure e la necessità di competenze specialistiche da parte delle aziende sanitarie pubbliche
  • Il rischio di contenziosi e la difficoltà nel mantenere l’equilibrio economico-finanziario
  • L’assenza di tempi certi: la PPP è un processo articolato che richiede lunghi tempi di realizzazione e che spesso fa i conti con esiti incerti dei risultati.

Analizzando le criticità emerge dunque la necessità di lavorare sulla sperimentazione di nuovi modelli assistenziali e organizzativi che, supportati dalla professionalità di un provider in veste di designer e facilitatore, agevolino la progettazione e la gestione di rapporti complessi tra soggetti pubblici e privati. Vediamo in che modo.

IL CSP COME BETA TEST

Nel framework della PPP, il Clinical Support Program si può collocare come beta test di un modello organizzativo-gestionale-assistenziale che ha per protagonisti un soggetto pubblico (l’ente ospedaliero), un soggetto privato (l’azienda farmaceutica che finanzia il progetto) e un healthcare provider in veste di progettista e facilitatore. Ciò che si delinea è una progettualità, definita nel tempo, in cui l’healthcare provider promuove l’iniziativa, la progetta, l’implementa e la sperimenta misurandone l’efficacia e la sostenibilità mediante specifici KPIs. Al soggetto pubblico che aderirà non verrà chiesto di affrontare spese, né di assumersi un rischio di impresa, ma solo di mettere a disposizione il proprio assetto organizzativo ovvero tutto ciò che serve per implementare la progettualità. Al termine del “periodo di prova” (coincidente con la durata del Clinical Support Program) della progettualità saranno valutati gli outcomes tramite i quali sarà possibile determinare l’effettivo valore dell’iniziativa. Stabilita l’efficacia della progettualità, il Soggetto pubblico e privato (a questo punto senza più il supporto dell’healthcare provider) avvieranno assieme un percorso di promozione dell’iniziativa, che consentirà all’ente ospedaliero di ottimizzare e risparmiare risorse.

I CSPs sono dunque un insieme di strategie, iniziative e modelli pensati per affiancare gli/le healthcare professional nella sperimentazione e applicazione di approcci innovativi finalizzati a migliorare gli esiti assistenziali ottimizzando le risorse del Sistema Sanitario.

COME SONO STRUTTURATI

I CSPs includono progetti e iniziative volti a supportare le varie fasi di gestione dei dati, di referral e follow up delle organizzazioni sanitarie. Nello specifico, tramite il data management e l’attività di raccolta, analisi e interpretazione dei dati collegati alle attività assistenziali e di ricerca clinica, si identificano soluzioni e prassi organizzative personalizzate. Tramite i progetti di referral si sviluppa una rete di relazioni e si condividono, a livello territoriale e ospedaliero, pratiche organizzative che agevolano l’individuazione e l’indirizzamento della persona affetta da patologia cronica da parte di un/una professionista (spesso rappresentato da un/una MMG) verso uno/una specialista o un team di specialisti/e. Tramite le iniziative di referral si promuove un monitoraggio periodico e ottimale delle persone affette da patologie croniche, definendo procedure e strumenti attentamente modellati sulle necessità delle figure sanitarie coinvolte.

BEST PRACTICE

Come la PPP può essere un nuovo strumento per la sanità italiana? Lo abbiamo chiesto all’Avvocato Silvia Stefanelli dello Studio Legale Stefanelli&Stefanelli.

«Il PPP è un modello di collaborazione tra pubblico e privato introdotto  da lungo tempo nel nostro ordinamento, ma che ha sempre avuto scarsa applicazione. Il recente Codice degli appalti ha però rovesciato l’ottica di questo modello collaborativo proprio allo scopo di facilitarne l’implementazione. Più esattamente il PPP non è un vero e proprio  istituto giuridico a sé stante,  ma è una operazione economica che può assumere varie vesti giuridiche (a maggior ragione oggi, tenuto conto che lo stesso Codice Appalti ammette all’art. 8 di stipulare contratti “atipici”); più precisamente il PPP mira a instaurare un “rapporto contrattuale” di lungo periodo tra P.A. e privati per il raggiungimento di un risultato di interesse pubblico attraverso un progetto comune, al quale i privati contribuiscano reperendo una parte significativa delle risorse necessarie a realizzarlo ed assumendone gestione e rischio operativo, mentre la parte pubblica ne definisce gli obiettivi e ne verifica l’attuazione. Attraverso questi contratti è possibile per le pubbliche amministrazioni affrontare interventi onerosi anche in situazioni deficitarie di bilancio, ricorrendo all’apporto di imprenditori privati, sia come finanziatori, sia come partner tecnici in grado di offrire il proprio know how per la realizzazione e la gestione di un’opera o di un servizio di interesse pubblico».

Quali potrebbero essere gli ambiti di applicazione di PPP nella sanità italiana?

«Certamente tutti quelli nei quali la pubblica amministrazione necessità di un apporto del privato in termine di progettazione, organizzazione, personale o attrezzature: si pensi ad esempio all’ assistenza domiciliare o ai monitoraggi delle persone in cura. La vera sfida sarà immaginare modelli innovativi di collaborazione che rispondano ad una esigenza di pubblico interesse, ma per il quale il privato possa assumersi non solo la gestione ma anche il rischio d’impresa».

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Questo articolo è disponibile in lingua inglese sul blog ufficiale di LSAcademy a questo link.

PATIENT SUPPORT PROGRAMS E PATIENT SERVICES: LE STRATEGIE COMUNICATIVE CHE AFFINANO LE COMPETENZE MIGLIORANDO IL SERVIZIO

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Comunicare l’efficacia e il valore di Patient support programs (PSP) e Patient services (PS) è una sfida che coinvolge il sistema salute e gli healthcare professional che dialogano con le persone assistite. L’esigenza è rispondere a bisogni complessi, soprattutto in contesti terapeutici cronici, oncologici o legati a malattie rare, per favorire l’aderenza terapeutica, supportare il percorso di cura, ottimizzare gli esiti clinici e migliorare la qualità di vita avvantaggiando il sistema sanitario in termini di costi. Scopriamo in che modo.

UN APPROCCIO BASATO SUL VALORE

Uno studio della University of Utah (Salt Lake City) College of Pharmacy, Department of Pharmacotherapy (2018) ha rilevato come il sistema sanitario statunitense si stia evolvendo da un approccio di assistenza basato sul volume a un approccio di assistenza basato sul valore tramite strategie che ottimizzano i risultati delle persone assistite, tra cui programmi di istruzione e colloqui motivazionali, supporto infermieristico e psicologico. Il risultato è un miglioramento dell’aderenza terapeutica fino al 35%, una riduzione delle ospedalizzazioni e un’ottimizzazione degli esiti clinici. I servizi healthcare ad alto valore aggiunto, come i PSP e i PS erogati da PHD Lifescience, integrano competenze mediche, infermieristiche, fisioterapiche, psicologiche, tecnologiche (IT), gestionali e comunicazionali con l’obiettivo di favorire l’accesso alle cure e di promuovere l’apprendimento e la divulgazione di informazioni, contenuti e fasi di un processo, incoraggiando il pubblico target alla condivisione di messaggi con le proprie reti.

TRASPARENZA, PERSONALIZZAZIONE E OMNICHANNEL

I principi per una comunicazione efficace in ambito PSP e PS dovrebbero basarsi sulla trasparenza e sulla personalizzazione. Ogni paziente ha esigenze specifiche, che dipendono da fattori come età, condizione clinica e contesto socioeconomico: personalizzare i messaggi a loro rivolti significa coinvolgerli in modo più efficace. Uno studio del Journal of Medical Internet Research (2020), per esempio, ha evidenziato come i materiali educativi adattati alle preferenze delle persone assistite migliorino la comprensione delle terapie rispetto ai materiali standardizzati. Un’efficace strategia di comunicazione dovrebbe dunque utilizzare canali multipli di tipo digitale (per esempio email, app per la gestione delle terapie e social media); tradizionale (come opuscoli, call center e incontri in presenza), istituzionale (per esempio comunicazioni tramite centri clinici, medici e farmacie). A tal proposito, uno studio della National University of Singapore (2022) ha dimostrato come la strategia omnichannel aumenti l’engagement del paziente del 40% rispetto a una strategia monocanale favorendo l’alfabetizzazione sanitaria con una conseguente riduzione degli errori terapeutici generato dall’innesco di un circolo virtuoso di responsabilità condivisa tra chi offre informazioni sanitarie (healthcare professional) e chi le riceve (persone assistite).

IL SUPPORTO DELLA TECNOLOGIA

La tecnologia mette a disposizione diversi strumenti per comunicare, tramite l’omnicanalità, PSP e PS:

  • App mobili: consentono alle persone assistite di monitorare le terapie e ricevere notifiche.
  • Telemedicina: favorisce il dialogo paziente-healthcare professional.
  • Chatbot e AI: rispondono mettendo a disposizione un supporto continuativo. 
  • Video tutorial educativi: facilitano, tramite contenuti audiovisivi interattivi e personalizzati, la memorizzazione in maniera più rapida ed efficace aumentando l’engagement e migliorando la user experience nei confronti del servizio.
  • Assistenti virtuali: utilizzati, soprattutto dalle nuove generazioni, sono utili al monitoraggio di condizioni di salute e farmaci.
  • Blog, forum e siti internet: possono supportare, se curati da healthcare professioanel, le persone durante il loro percorso di cura.
  • Podcast: rappresentano un’evoluzione delle modalità tradizionali educative e di engagement nella pratica clinica, sono accessibili, di facile fruizione, consentono l’ascolto sia online che offline e offrono contenuti di approfondimento verticale o di storytelling emotivo
STRATEGIA FLUIDA PER UN’ASSISTENZA SANITARIA DI PROSSIMITÁ

La consumerizzazione della sanità vede le persone con un ruolo più attivo nella ricerca, nella scelta e nel controllo delle proprie cure mediche: ciò richiede una costruzione di una strategia healthcare multicanale che presidi il maggior numero di touchpoint possibili. Costruire e applicare strategie comunicative digitalmente evolute che prevedano un approccio integrato, human-centered e sostenuto da tecnologie e piattaforme innovative e interattive significa generare un circolo virtuoso, garante di cure migliori e sempre più precise, a vantaggio di persone, imprese, servizio sanitario pubblico. La struttura delle informazioni e la strategia di inserimento dei contenuti nelle differenti piattaforme digitali che veicolano l’healthcare communication vanno pensati e disegnati in maniera fluida per rispondere a domande articolate, che sempre di più, oggi, necessitano di una rete assistenziale di prossimità (Case e ospedali di comunità, farmacie, MMG, Centrali operative territoriali, personale infermieristico di comunità, Pediatri di libera scelta) e metodi dinamici capaci di “correggere il tiro” rivedendo per esempio i percorsi terapeutici in funzione delle informazioni che arrivano dai e dalle pazienti.

L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE COME LEVA PER IL CAMBIAMENTO E L’INNOVAZIONE

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Il buon governo clinico e la salute delle persone sono oggi considerati i pilastri dell’infrastruttura clinical governance destinata a migliorare la qualità dei servizi e a garantire elevati standard assistenziali favorendo l’eccellenza clinica. Ma come si arriva alla costruzione di una solida infrastruttura in ambito healthcare? Partendo dalla formazione e dall’aggiornamento continuo degli/delle healthcare professional (hcp).

HEALTHCARE EDUCATION: UNA FORMA DI INVESTIMENTO

L’aggiornamento e la formazione continua del capitale umano in ambito healthcare rappresentano un investimento qualitativo nella produzione di servizi sanitari. L’organizzazione lean dell’assistenza, il monitoraggio a distanza delle persone assistite, la personalizzazione dei trattamenti e l’utilizzo delle nuove tecnologie per la diagnostica e la cura rendono oggi indispensabile lo strumento dell’healthcare education. Stimolando il confronto interno al mondo sanitario e privilegiando un approccio responsive in tema di arricchimento professionale e bisogni dei/delle pazienti, l’healthcare education garantisce supporto nel favorire il perfezionamento delle competenze specialistiche collocando gli/le hcp in una dimensione collettiva e condivisa di organizzazione e cultura sanitaria estesa a tutti i livelli decisionali, da quelli centrali a quelli distrettuali. Il risultato? L’innesco di un processo educativo from exploration to application, come definito da PHD Lifescience.

FROM EXPLORATION TO APPLICATION

Mettendo insieme tutte le professionalità coinvolte nel processo educativo e dando a tutte pari dignità e importanza, si sviluppa un pensiero orientato al cambiamento. La trasformazione viene costruita step by step tramite un percorso from exploration to application che valorizza competenze trasversali: clinico-assistenziali, tecniche, digitali, di comunicazione. L’offerta healthcare education proposta da PHD Lifescience punta a rafforzare le skill comunicative e di cooperazione degli/delle hcp migliorando competenze chiave quali abilità di gruppo, flessibilità del ruolo, capacità di risoluzione dei conflitti. Tramite quali strumenti? Per esempio i case studies svolti in team che, mettendo insieme professionalità e scenari diversificati, consentono di condurre valutazioni e identificare potenziali soluzioni; oppure impiegando metodiche didattiche come il problem based learning, basato sulla soluzione di problemi tramite la discussione in piccoli gruppi di discenti assistiti/e da docenti in veste di facilitatori/facilitatrici. Il risultato è la reingegnerizzare dei processi di lavoro degli/delle healthcare professional e la costruzione di un nuovo mindset – in PHD Lifescience frutto del lavoro sinergico tra le Business Unit Education e Consulting – che migliora i servizi sanitari creando valore.

UN PENSIERO STRATEGICO CHE CREA VALORE

L’intero flusso di creazione del valore in ambito healthcare education viene elaborato, grazie al supporto di consulenti esperti/e, su un modello di pensiero strategico che, dopo aver analizzato gli unmet needs, individua le risorse e i mezzi necessari alla realizzazione del progetto, eroga il processo formativo e verifica la coerenza tra risultati attesi e raggiunti tramite il follow up valutando l’impatto dei cambiamenti generati. Il risultato? il miglioramento continuo di un’assistenza centrata sul/sulla paziente che supporta efficacemente gli/le healthcare professional influenzando, modificando e ottimizzando le prassi organizzative dell’organizzazione sanitaria.

FORMAZIONE EVIDENCE BASED E CONSULENZA PER IL REDESIGN DEI SERVIZI SANITARI

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Riprogettare un servizio sanitario abbinando formazione e consulenza significa garantire alle organizzazioni nuovi strumenti per fornire il miglioramento continuo di un’assistenza centrata suə paziente che supporti efficacemente ə healthcare professional. Ma come si struttura questo processo?

LA FORMAZIONE: ANALISI, PROGETTAZIONE, EROGAZIONE E VALUTAZIONE

Il processo formativo è scandito da quattro macro fasi:

  • analisi dei bisogni;
  • progettazione;
  • erogazione; 
  • valutazione.

Ciascuna fase possiede un peso determinante sui risultati dell’azione formativa. Partendo dall’analisi dei bisogni (tramite le interviste, i questionari strutturati e i focus group) si pongono le basi per il raggiungimento degli obiettivi. Seguono poi la progettazione – che definisce le risorse e i mezzi necessari per realizzare il progetto verificando i risultati – e l’erogazione del processo formativo che, tenendo conto delle esigenze delle parti interessate e delle risorse disponibili (umane, infrastrutture e servizi), sviluppa il percorso individuando le modalità di insegnamento, apprendimento e verifica. Infine c’è il follow up, elemento cruciale del processo formativo che, verificando la coerenza tra risultati attesi e raggiunti, valuta l’impatto dei cambiamenti generati utili a individuare eventuali barriere organizzative al raggiungimento degli obiettivi e a innescare la reingegnerizzazione dei processi. 

IL VALORE DELLA CONSULENZA NEL FOLLOW UP

Il processo di redesign, collocabile nella fase di valutazione dell’azione formativa, in PHD Lifescience è frutto del lavoro sinergico tra le Business Unit Education e Consulting. Da un lato, infatti, la BU Education verifica, durante il follow up, come e se gli apprendimenti siano stati trasferiti al lavoro del personale medico e ai processi organizzativi del Centro Clinico, dall’altro la BU Consulting verifica ex post l’efficacia della formazione fornendo, dove necessario, supporto alle strutture sanitarie per reingegnerizzare i processi di lavoro də healthcare professional massimizzando così il valore della continuing education e facendone una leva per il miglioramento dei servizi sanitari. La formazione, pertanto, oltre a fornire base e visione necessarie per la costruzione di un nuovo mindset, offre percorsi multidisciplinari e multiprofessionali inquadrando il tema sia dal punto di vista più strettamente clinico sia considerando gli aspetti tecnologici, di comunicazione, legali ed etici.

IL LEAN THINKING PER IL CAMBIAMENTO E L’INNOVAZIONE

Costruire un nuovo mindset significa dunque incidere sui modelli culturali e cognitivi alla base dell’agire professionale. Con quale obiettivo? Acquisire un diverso atteggiamento e modo di ragionare che accresca la flessibilità e la reattività necessarie a gestire il miglioramento, il cambiamento e l’innovazione attraverso un ripensamento dell’intero flusso di creazione del valore. Con quale strumento? Tramite il lean thinking, un modello di pensiero strategico basato sui principi lean del miglioramento continuo a tutti i livelli dell’organizzazione, dell’impiego ottimizzato delle risorse aziendali e della personalizzazione dei processi. Per generare lean thinking occorre acquisire competenze e conoscenze necessarie a osservare i servizi sanitari in ottica critica, evidenziando gli unmet needs, i gap, gli ostacoli e promuovendo il riesame e il miglioramento delle modalità organizzative dell’assistenza aə paziente tramite il supporto di consulenti espertə.

PEER EDUCATION: NUOVI PERCORSI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PRATICA CLINICA

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Esperienze, persone, strategia: sono le parole chiave della peer education, una metodologia di educazione basata sullo scambio tra pari, tra healthcare professional che condividono conoscenze di pratica clinica proponendo soluzioni. La peer education ha per protagonisti soggetti attivi e non discenti passivi, in cui ciascuno è chiamato a costruire e dare forma ai contenuti della sessione educativa. Cosa genera questo approccio? Un pensiero di sistema.

UN PENSIERO DI SISTEMA CHE GENERA CAMBIAMENTO

L’approccio sistemico in campo education stimola le parti all’interazione permanente. Mettendo insieme tutte le professionalità coinvolte nel processo educativo e dando a tutte pari dignità e importanza, si sviluppa un pensiero orientato al cambiamento. Come si costruisce questa trasformazione? Step by step tramite un percorso from exploration to application, come definito da PHD Lifescience. Prima di tutto si mappano le scelte e i processi attraverso la condivisione di esperienze (explore); si passa poi a migliorare comportamenti e processi di prassi clinica attraverso peer education e approccio interdisciplinare  (improve); si validano accordi e convergenze diagnostico-terapeutiche attraverso dialogo e lavoro di squadra (validate) e infine si verifica l’impatto del cambiamento nella realtà lavorativa attraverso strumenti adeguati e modelli evolutivi (apply). 

CONNETTERSI PER ABBATTERE I SILOS

L’evoluzione delle organizzazioni sanitarie ha fatto emergere negli ultimi anni ruoli organizzativi nuovi, sia in posizioni di staff sia nell’organizzazione delle attività clinico-assistenziali, accelerando lo sviluppo di competenze manageriali anche per ruoli prevalentemente clinici, è il caso per esempio del personale medico che passa alla dirigenza di unità operative sanitarie. In generale, dunque, è cresciuta l’importanza di adeguate competenze trasversali che includono non solo conoscenze clinico-assistenziali, ma anche per esempio tecniche, digitali, di comunicazione. Ecco perché il tema formativo vale a tutti i livelli e la trasformazione deve iniziare dall’alto o il modello “best practice a pop corn” non funziona. Occorre sviluppare una visione trasversale che metta in connessione i temi, abbattendo i silos, facendo inquadrare gli argomenti oltre il perimetro specifico.

CONDIVIDERE ESPERIENZE PER ARRICCHIRE L’APPRENDIMENTO

La fase di condivisione delle esperienze è dunque il primo step della peer education. Ma perché è così importante? Perché permette di condividere l’analisi di casi clinici di particolare interesse scientifico e/o complessità favorendo l’arricchimento dell’apprendimento esperienziale. Riportare all’interno del gruppo coinvolto nel processo educativo l’esperienza clinica personale dei singoli partecipanti significa favorire l’apprendimento dall’errore, offrire spunti di riflessione, ma anche di analisi e correzione dei comportamenti scorretti accelerando la curva di apprendimento.

KNOWLEDGE TO IMPROVE

Il passaggio dallo step explore allo step improve del processo educativo si concretizza tramite i gruppi di miglioramento proposti da PHD Lifescience. Si tratta di gruppi di lavoro interfunzionali e interprofessionali, ovvero con differenti competenze ed esperienze in ambito sanitario, che supportano il percorso di peer education per renderlo sempre più funzionale al miglioramento dei comportamenti e dei processi di prassi clinica interni alle organizzazioni sanitarie. 

LE SFIDE

La sfida è creare, tramite la peer education, nuove linee d’indirizzo per esempio per un miglioramento del percorso clinico-organizzativo di presa in carico delle persone assistite  in termini di efficacia clinica, organizzativa e di qualità del servizio offerto. Come? Rendendo ə healthcare professional, ə specialistə e ə MMG sempre più protagonisti e promotori di best practice  interne alle organizzazioni sanitarie.

INTERDISCIPLINARIETÀ E MULTIDISCIPLINARIETÀ: DUE RISORSE STRATEGICHE PER L’EDUCATION

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Oggi l’Education si basa sullo sviluppo di un modello di apprendimento che rivolgendosi aə singolə healthcare professional lə colloca in una dimensione collettiva e condivisa di organizzazione sanitaria volta al raggiungimento di un obiettivo comune: il buon governo clinico e la salute delle persone. Tramite i due approcci interdisciplinare e multidisciplinare il personale sanitario acquisisce, da un lato, una variegata conoscenza di concetti e principi (interdisciplinarietà) garantendo una presa in carico unitaria də pazienti e, dall’altro, migliora e incentiva il dialogo, la collaborazione e lo scambio di competenze tra le diverse professionalità sanitarie (multidisciplinarietà) per affrontare al meglio la risoluzione di situazioni e problematiche.

UNA RETE MULTIPROFESSIONALE

L’azione chiave per innescare la trasformazione del modello formativo è costruire una rete della formazione che sia multiprofessionale. Come? Coinvolgendo le varie figure sanitarie, con punti di vista e inquadrature professionali differenti (da quelle prettamente cliniche a quelle tecnologiche, comunicative ed etiche). Secondo quanto teorizzato dal professor Hugh Petrie dell’University at Buffalo®, State University of New York ottimizzare il processo formativo significa esplorare nuove discipline ponendosi con atteggiamento curioso, aperto e avventuroso nei confronti də colleghə di altre discipline. Ma perché è così importante creare connessioni?

CONNETTERSI PER ABBATTERE I SILOS

L’evoluzione delle organizzazioni sanitarie ha fatto emergere negli ultimi anni ruoli organizzativi nuovi, sia in posizioni di staff sia nell’organizzazione delle attività clinico-assistenziali, accelerando lo sviluppo di competenze manageriali anche per ruoli prevalentemente clinici, è il caso per esempio del personale medico che passa alla dirigenza di unità operative sanitarie. In generale, dunque, è cresciuta l’importanza di adeguate competenze trasversali che includono non solo conoscenze clinico-assistenziali, ma anche per esempio tecniche, digitali, di comunicazione. Ecco perché il tema formativo vale a tutti i livelli e la trasformazione deve iniziare dall’alto o il modello “best practice a pop corn” non funziona. Occorre sviluppare una visione trasversale che metta in connessione i temi, abbattendo i silos, facendo inquadrare gli argomenti oltre il perimetro specifico.

COMUNICAZIONE E COOPERAZIONE

La sfida è il passaggio da un’organizzazione assistenziale costruita attorno a una figura e a una disciplina di riferimento, ad una dimensione ulteriore, rappresentata dal lavorare insieme con una sorta di “attenuamento dei ruoli”, ovvero una non focalizzazione sui ruoli professionali. Tramite la formazione multidisciplinare e interdisciplinare, proposta da PHD Lifescience, ə healthcare professional rafforzano le skill comunicative e di cooperazione migliorando competenze chiave quali abilità di gruppo, flessibilità del ruolo, capacità di risoluzione dei conflitti. In che modo? Utilizzando, per esempio, lo strumento del case study svolto in team che, mettendo insieme scenari e professionalità diversificati, consente di condurre valutazioni identificando potenziali soluzioni; oppure sviluppando metodiche didattiche come il problem based learning, basato sulla soluzione di problemi tramite la discussione in piccoli gruppi di discenti assistitə da docenti in veste di facilitatorə. 

LE PAROLE SONO IMPORTANTI: APPUNTI SUL LINGUAGGIO CHE CURA

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Ci si può prendere cura delle persone attraverso la scelta delle parole? Sì perché il linguaggio consente di veicolare non solo le informazioni, ma anche le storie, le idee, i valori e la percezione del proprio sé e soprattutto il rispetto. Quando si parla di linguaggio inclusivo nel mondo della salute non si parla solo di genere ma soprattutto di eliminare la sovraestensione del concetto di malattia. Scegliere di rivolgersi alle persone identificandole in primis come malate trasferisce un messaggio: quello che la malattia venga al primo posto. E se così non fosse? 

UN CAMBIO DI PARADIGMA NEL SISTEMA SALUTE

Quando parliamo di malattia non ci riferiamo più unicamente al risultato di fattori biologici e genetici, ma ad una condizione multifattoriale, dove il contesto sociale, lavorativo, ambientale, economico e linguistico mescolandosi alla propria autopercezione danno vita a questa condizione. Il nuovo paradigma di cura è sempre più orientato alla generazione di un ecosistema di engagement, come teorizzato da Guendalina Graffigna, PhD Professor Associato della Facoltà di Psicologia e CoordinatorƏ EngageMinds HubConsumer&Health Research Center dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La persona, dunque, non sta al centro del sistema salute ma ne fa parte, passando dal ruolo di soggetto osservato a quello di codecisore del proprio percorso di cura. Nella pratica questo passa per la sua identificazione in primis come persona attiva, che si compone di tutti gli aspetti che la determinano: il lavoro, le passioni, gli hobby e soprattutto la scelta di come affrontare la propria patologia. 

Il linguaggio, di conseguenza, ha la funzione di rispecchiare questo nuovo approccio, superando la scelta di parole come malatə o affettə da che, pur rispondendo a pieno alla definizione clinica, non consentono di superare un bias legato a una visione passiva del proprio stato di salute. La ricerca scientifica e quella in campo farmaceutico, mescolate alle soluzioni digitali messe a servizio della cura, permettono sempre di più la liberazione dal concetto di malattia come unica determinazione della persona che ne è soggetta, per questo sempre di più le scelte linguistiche, gli artefatti visivi, i prodotti audio si pongono l’obiettivo di portare avanti una nuova narrazione, più in linea con il bisogno delle persone di determinarsi in quanto tali.

GENERARE ACCESSIBILITÀ TRAMITE IL LINGUAGGIO

L’inclusione si rende possibile solo allargando le maglie dell’accessibilità, che anche in salute non consiste in altro che facilitare la fruizione delle informazioni favorendo la rappresentazione delle differenze, anche quelle più rare. 

Negli ultimi anni la diffusione di espedienti linguistici come lo schwa dimostrano la volontà di restituire autodeterminazione individuale alle persone, senza stereotipizzazioni, ma cosa succede se un simbolo interferisce sulla lettura di un testo per persone con disturbi della lettura? Per superare l’impasse sono state redatte linee guida di comunicazione inclusiva e principi di scrittura accessibile. Il documento redatto dall’Università IUAV di Venezia parla per esempio, di caratteri, strutture e contenuti da inserire nei testi per rendere la scrittura accessibile a persone con disturbi specifici dell’apprendimento, con disabilità intellettive o in età alta. Il documento fornisce spunti interessanti anche sul linguaggio iconico di materiali informativi per superare gli stereotipi e i pregiudizi garantendo dunque un’equa rappresentatività. 

AL FIANCO DELLE PERSONE SUPPORTATI DAL DIGITALE

Non si fa, dunque, inclusione solo eliminando il concetto di sovraestensione di genere. La sfida è molto più complessa e, ancora una volta, nasce dall’ascolto della narrazione delle persone direttamente interessate da questi argomenti. La tecnologia, in questo senso, fornisce supporto dando non solo ascolto ma anche voce e strumenti alle persone assistite. Pensiamo all’AI che, con la sua rapida evoluzione nel campo della comunicazione umana, ha migliorato l’accessibilità all’assistenza sanitaria, facilitando la comunicazione con Ə healthcare professional. Nella direzione dell’inclusività, inoltre, si stanno sempre più muovendo le organizzazioni internazionali. Un esempio è World Wide Web Consortium (W3C), organizzazione senza scopo di lucro il cui scopo è migliorare l’accessibilità digitale delle persone con disabilità che possono riscontrare difficoltà non solo nell’utilizzo del computer, ma anche del web. Questa realtà ha delineato alcune linee guida per rendere accessibile un sito tra cui: fornire alternative equivalenti al contenuto audio e visivo, non ricorrere a un solo colore, verificare che i documenti siano chiari e semplici, fornire meccanismi di navigazione chiari, verificare che l’utente possa tenere sotto controllo i cambiamenti di contenuto nel tempo, progettare per garantire l’indipendenza dal dispositivo. Una serie di punti per eliminare le barriere architettoniche, digitali e sociali creando luoghi virtuali dal design e dall’utilizzo accessibile. 

IL SUCCESSO DELLE SOLUZIONI DIGITALI PARTE DA UN ATTENTO ASCOLTO DEI BISOGNI

 

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Nella costruzione di una rete di supporto integrata che coinvolga pazienti e personale sanitario il filo conduttore è la digitalizzazione. Una digitalizzazione composta da nodi comunicanti che scambiano dati, immagini e informazioni creando un sistema che genera valore perché basato sui bisogni delle persone e sul loro coinvolgimento attivo (patient engagement) nel percorso di cura. Nel processo di digitalizzazione il punto di cura diventano dunque le persone assistite tramite percorsi personalizzati, mentre le organizzazioni sanitarie lavorano sinergicamente per rafforzare partnership, condividere dati e forme di collaborazione, utili ad acquisire sapere e a superare la vecchia cultura a silos valorizzando il ruolo delle figure healthcare professional.

MODELLIZZARE IL PERCORSO DI PROGETTAZIONE

Il processo di transizione digitale in sanità richiede un approccio alla progettazione dei sistemi di medicina digitale e telemedicina incentrato sull’essere umano (human-centered design, etica by design, privacy by design) e sul prendersi cura. Per modellizzare un percorso di progettazione occorre tener conto di chi utilizza lo strumento (personale medico), di chi fruisce dei benefici qualitativi (paziente); di chi riceve i benefici di efficientamento (amministrazioni sanitarie). Le aziende sanitarie, in particolare, rappresentano un tassello chiave di tutta l’infrastruttura di sistema perché depositarie della gran parte delle informazioni sanitarie relative alle persone assistite.

AUMENTARE L’IMPATTO DELLE TECNOLOGIE

La variabile che contribuisce maggiormente a condizionare l’aderenza delle persone ai servizi di medicina digitale e telemedicina è la percezione di essere al centro dell’assistenza. Questa percezione è influenzata da numerosi fattori, tutti riconducibili alle cosiddette soft skills che la persona attribuisce a chi sta erogando il servizio: la cortesia, l’attitudine positiva, l’ascolto attivo, l’interesse a comprendere i suoi bisogni. A questo si uniscono le caratteristiche riconosciute al sistema inteso come apparato software: la tutela dei dati personali e la semplicità d’uso. Lo user centered design imperniato sul concetto di bisogno diventa dunque l’architrave su cui costruire, in buona parte, il servizio sanitario digitale di domani. Tramite campagne di comunicazione comprensibili e capillari sarà possibile far comprendere il pieno valore della trasformazione in atto supportando l’individuo nella comprensione e accettazione di queste nuove forme di accesso alle healthcare solutions.

L’OCCASIONE DEL PNRR 

La Missione 6 Salute del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) include una componente (C2) interamente dedicata all’innovazione, ricerca e digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. In particolare con l’investimento 1.3 da 1,67 miliardi si intende rafforzare l’infrastruttura tecnologica e gli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione. Ne deriverà un sistema sanitario più tecnologico e digitale che permetterà di diffondere in tutta Italia il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) per avere i dati a disposizione in qualsiasi momento; creare cartelle cliniche digitali; realizzare un archivio centrale per i dati delle persone assistite; mettere a punto una sanità più efficiente e in grado di avere dati di previsione; ottenere informazioni sullo stato di salute sempre aggiornate digitalmente. 

LE SFIDE

Le sfide del digitale coinvolgono le figure mediche e le pharma. A incidere sullo sviluppo digitale saranno la capacità di individuare i bisogni di pazienti, healthcare professional e servizi sanitari nazionali puntando a un approccio bottom-up; rendere scalabili le soluzioni digitali che hanno dimostrano validità; garantire l’interoperabilità fra i sistemi generando Big Data da analizzare; realizzare interazione fra mondo medico, farmaceutico e informatico; implementare le soluzioni digitali disponibili in attesa che i player del settore digital rendano disponibili in futuro nuove applicazioni innovative. Per le aziende farmaceutiche, dunque, le figure mediche del futuro diventano interlocutrici con cui confrontarsi e cooperare per offrire una maggiore soddisfazione dei bisogni di salute delle persone assistite migliorando la loro esperienza in termini di accessibilità, livelli qualitativi, attese e gestione delle relazioni personali. Ogni paziente, dal canto suo, interloquirà con le figure mediche di riferimento per delineare insieme il percorso di cura.

 

 

MAKE IT VISUAL: TECNICHE E STRUMENTI DELLA HEALTHCARE COMMUNICATION

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Comunicare contenuti significa mettere in campo competenze differenti che devono essere unite da legami di senso. Molto spesso si commette l’errore di associare il contenuto alle parole ma la questione è ben più ampia: come spiega Valeria Envangelistella, UX Designer, è importante pensare al contenuto come a un sistema sinsemico, in cui parole e immagini danno e prendono senso proprio perché inseriti in uno spazio che contribuiscono a comporre attraverso le reciproche relazioni. Se pensiamo alla healthcare communication questo principio è ancora più importante perché molto spesso il contenuto deve risultare comprensibile a target fra loro differenti pur mantenendo integre informazioni complesse. Secondo il documento di comunicazione strategica Principles for effective communications undestandables redatto dall’OMS vige il principio make it visual per rendere immediati tutti i concetti espressi da tecnicismi. I mezzi visivi (video, fotografie, infografiche, grafici e illustrazioni) diventano così strumenti che favoriscono l’apprendimento e la divulgazione di informazioni, contenuti e fasi di un processo, incoraggiando il pubblico target alla condivisione di messaggi con le proprie reti. In ambito educativo sanitario, il “pensare per immagini” sta diventando una vera e propria metodologia di formazione.

IL VISUAL THINKING NELL’HEALTHCARE

Il visual thinking, ovvero l’attività di “pensare per immagini”, permette di rappresentare concetti e pensieri attraverso immagini e presentazioni visive. Un recente studio dell’Università Federico II di Napoli ha messo in luce la significativa facilitazione nei processi comunicativi della formazione sanitaria proprio grazie a un incremento del visual thinking. Ne scaturiscono benefici per gli healthcare professional che, tramite l’attivazione di processi di osservazione, analisi,  confronto e discussione, acquisiscono un metodo da applicare nell’attività clinica. Innescando tale circolo virtuoso si implementano le capacità di problem solving e di pensiero critico, viene migliorata la propensione al lavoro di  gruppo, si affinano le competenze inerenti l’esame obiettivo deə paziente coltivandone l’empatia e il percorso di alfabetizzazione, inteso come responsabilità condivisa tra chi offre informazioni sanitarie e chi le riceve, come dimostra questo viewpoint  del Journal of Visual Communication in Medicine. La sfida, dunque, è comunicare in maniera sempre più diretta e innovativa con i propri interlocutori.

VISUAL STORYTELLING

Il visual storytelling, sempre più usato dagli enti e dalle aziende sanitarie, traduce in maniera efficace la realtà di un vissuto. Il racconto diventa immagine caricandosi di efficacia tramite l’invio di specifici messaggi alla propria audience e mettendola in un piano di ascolto. Il processo di creazione narrativo richiede però precise regole e conoscenze e una puntuale pianificazione. Qualche buon esempio di visual storytelling? La video narrazione messa a punto dalla struttura statunitense Bryn Mawr Rehab Hospital, incentrata su una storia di riabilitazione post ictus; oppure il video racconto elaborato dall’organizzazione statunitense Mercy Urgent Care sul tema dell’infortunio.

LA SFIDA È UNA COMUNICAZIONE SEMPRE PIÚ COINVOLGENTE E SOCIAL

La generazione di lead e il ritorno sull’investimento sono strettamente legati alla differenziazione del contenuto visivo offerto e alla connessione emotiva che si crea con il proprio pubblico target. In tal senso il visual storytelling è efficace perché facilita la memorizzazione e l’assimilazione delle informazioni; ha un approccio narrativo più familiare; offre un accesso semplificato a concetti astratti grazie al supporto di immagini e video; rafforza la motivazione deə discentə; stimola la creazione di nuove storie favorendo lo scambio collaborativo delle conoscenze, il confronto critico e la ricerca di nuove interpretazioni. A seconda del tema, del servizio o del prodotto da divulgare si possono realizzare, per esempio, video in motion graphic che, tramite grafiche animate, spiegano in modo conciso concetti complessi facilmente comprensibili a un’audience generalista; oppure video rubriche tematiche che, tramite la serialità delle puntate, spiegano prodotti e servizi descrivendo bisogni e illustrando soluzioni. Il formato video, inoltre, è tra i più ingaggianti per la diffusione sui canali social a patto che segua una narrazione lineare e condivisa tra i vari social network; utilizzi contenuti originali e realizzati ad hoc; veicoli valori genuini e trasmetta emozioni; mantenga una certa frequenza senza essere prettamente autoreferenziale; e, soprattutto, conservi la sua autorevolezza. La sfida, infatti, è educare a un uso più consapevole dello strumento mantenendo il delicato equilibrio tra creatività e autorevolezza per fare dei vari TikTok (@unaginecologaperamica), Instagram (medicina_cb) e Facebook (Claudio Olivieri Chirurgo Pediatrico) degli strumenti di divulgazione e sensibilizzazione sui temi della salute avvicinandosi anche ai più giovani.