
“Finisco il Liceo quest’anno e il mio sogno è fare l’Erasmus a Parigi, mio papà ci ha vissuto, io non ci sono mai stata”.
Tempo di lettura: 4 minuti
“Avergli passato la malattia è come un chiodo fisso, te fai tutte le tue cose ma poi non è che puoi non pensarci, però io mica voglio farglielo pesare”
Storie, sogni di viaggi, sensi di colpa o di inappropriatezza. Storie di persone, prima che di pazienti e caregiver. Storie che raccontano frammenti di realtà e che sono la sintesi di tante storie, come insegna la User Experience.
Ma che cos’è la UX?
Per User experience design research si intende l’attività che cerca di comprendere i comportamenti degli utenti, gli obiettivi e le loro esigenze per progettare servizi e prodotti totalmente centrati su di loro.
E se sostituissimo la parola user con paziente? Il modello funzionerebbe lo stesso perché il focus rimangono le persone. Il nuovo approccio volto a disegnare servizi e strumenti di comunicazione sempre più specifici segue una regola principale: come spiega Maria Cristina Lavazza della UX University dobbiamo superare il concetto di utente medio e focalizzarci su un pubblico specifico e profilato.
Sentiamo spesso parlare di storytelling come risultato di campagne di comunicazione e sensibilizzazione, ma se questo diventasse la metodologia di raccolta delle informazioni? Se le esperienze si sostituissero ai dati per la costruzione del journey del paziente? Il risultato sarebbe un sistema di storie funzionali a far emergere i bisogni e le frustrazioni su cui poter costruire soluzioni di valore.
Quindi la ricerca iniziale cosa raccoglie? Comportamenti, opinioni, frustrazioni, bisogni, frasi chiave raccolte con una varietà di strumenti di analisi che possono essere qualitative, esplorative, descrittive, partecipative mescolandosi con dati quantitativi. I risultati di queste analisi sono molteplici: i patient journey maps raccontano la vita del paziente dalla presa di coscienza dei sintomi sino al follow up, ma è possinbile visualizzare i risultati attraverso veri e propri storyboards. Anche i personas nascono da queste analisi e si collocano tra i buyer personas, modelli che partono dai dati utilizzati dal marketing e le protopersonas, profili frutto di un lavoro elaborato con le nostre personalissime lenti.
Il lavoro della UX comprende anche una parte importantissima che da vita a filtri con cui guardare nella maniera più oggettiva la realtà, attraverso la narrazione. “Maria sta finendo il Liceo e vuole trasferirsi all’estero”. La frase chiave ci permette di entrare in profondità nel mondo di Lucia, che è un personas, per capire come la malattia la vincola nelle sue scelte ma anche nella sua quotidianità, come si compone il suo universo di relazioni, luoghi e azioni. L’approccio permette di trasformare gli insight in possibilità per creare strumenti di comunicazione e servizi ad hoc.
Allenare l’empatia come strumento per raggiungere i touchpoints
Riuscire a delineare quelli che sono i personas pazienti, attraverso un’analisi delle informazioni raccolte riguardo ai loro bisogni e comportamenti non è un processo semplice ma permette di focalizzare i servizi sui reali touchpoints.
Come spesso accade ci si limita a segmentare macro gruppi di persone che registrano alcune affinità senza scavare più a fondo, ma soprattutto senza sfruttare un attrezzo fondamentale della user experience, l’empatia.
La capacità di porsi nella situazione di un’altra persona, l’abilità di sentire sulla propria pelle le percezioni dell’altro, per farle proprie e declinarle in una proposta concreta.
Uno strumento che può rivelarsi utile per questo scopo è proprio l’empathy map. Perfetto per raccogliere e gestire le informazioni collezionate attraverso ricerche dirette o indirette sui pazienti, si tratta di un canvas in cui il profilo dell’utente si trova al centro e il lavoro consiste nel cercare di rispondere a 6 domande fondamentali, sulla base dei valori raccolti. Cosa pensa e sente il paziente? Quali sono le opinioni riguardo al servizio offerto che il paziente ascolta da altre persone? Cosa vede? Come si comporta e quale è il suo approccio con la terapia? Che dolori percepisce? Quali sono i suoi valori, che cosa lo rende veramente felice nella vita?
Queste sei proposte di domande rappresentano l’esempio base del modello di mappa empatica che può essere personalizzata anche sulla base delle esigenze.
“I dati recuperati in fase di ricerca con gli utenti possono essere complessi, eterogenei e a volte confusi, il canvas offerto aiuta a trovare un filo conduttore sul quale lavorare in maniera congiunta” come suggerisce Maria Cristina Lavazza nell’Le empathy map del suo blog in cui analizza questo strumento.
Comunicare le Personas
Conoscere e comprendere attraverso la user experience chi sono veramente i pazienti, la loro quotidianità e le loro emozioni, è fondamentale per raccontarli nel modo migliore e comunicare agli stakeholder quali sono le loro esigenze e le loro vere necessità. Andando oltre una presentazione stereotipata tipica di un power point creato per un marchio di cosmesi, nel mondo dei servizi al paziente scendere nel particolare e raccontare l’anima di chi vive tutti i giorni una terapia o è costretto a dei follow up periodici è tanto fondamentale quanto complesso.
Qual è il giusto equilibrio tra informazioni meramente descrittive, comportamentali e di contesto? Le prime sono legate a un racconto informativo, di dato della persona in esame: età, dove vive, dove è nata e cosa fa di professione. Con informazioni comportamentali invece si considerano quelle legate alle abitudini, alle routine, a dei meccanismi psicologici di attivazione di alcuni gesti. Le ultime tipologie di informazioni sono connesse all’utilizzo del servizio proposto.
Come scegliere a cosa dare risalto?
Non esiste una regola scientifica, ogni informazione è veicolo di aspettative e immagini mentali. Nel mondo dell’healthcare, l’aspetto comportamentale del paziente è uno dei requisiti fondamentale per strutturare servizi e prodotti che gli consentano una quotidianità libera da vincoli, ma le informazioni descrittive e di contesto contribuiscono a definire in maniera più specifica il soggetto focus dell’attenzione.
L’approccio legato alla user experience e in particolare al modello dei personas permette di dare forma a soluzioni altamente personalizzate che pongono il paziente al centro. Un primo passo per avvicinare Maria al suo desiderio: quello di vivere a Parigi, proprio come suo padre.
Personas, la chiave empatica nell’healthcare
“Finisco il Liceo quest’anno e il mio sogno è fare l’Erasmus a Parigi, mio papà ci ha vissuto, io non ci sono mai stata”.
Tempo di lettura: 4 minuti
“Avergli passato la malattia è come un chiodo fisso, te fai tutte le tue cose ma poi non è che puoi non pensarci, però io mica voglio farglielo pesare”
Storie, sogni di viaggi, sensi di colpa o di inappropriatezza. Storie di persone, prima che di pazienti e caregiver. Storie che raccontano frammenti di realtà e che sono la sintesi di tante storie, come insegna la User Experience.
Ma che cos’è la UX?
Per User experience design research si intende l’attività che cerca di comprendere i comportamenti degli utenti, gli obiettivi e le loro esigenze per progettare servizi e prodotti totalmente centrati su di loro.
E se sostituissimo la parola user con paziente? Il modello funzionerebbe lo stesso perché il focus rimangono le persone. Il nuovo approccio volto a disegnare servizi e strumenti di comunicazione sempre più specifici segue una regola principale: come spiega Maria Cristina Lavazza della UX University dobbiamo superare il concetto di utente medio e focalizzarci su un pubblico specifico e profilato.
Sentiamo spesso parlare di storytelling come risultato di campagne di comunicazione e sensibilizzazione, ma se questo diventasse la metodologia di raccolta delle informazioni? Se le esperienze si sostituissero ai dati per la costruzione del journey del paziente? Il risultato sarebbe un sistema di storie funzionali a far emergere i bisogni e le frustrazioni su cui poter costruire soluzioni di valore.
Quindi la ricerca iniziale cosa raccoglie? Comportamenti, opinioni, frustrazioni, bisogni, frasi chiave raccolte con una varietà di strumenti di analisi che possono essere qualitative, esplorative, descrittive, partecipative mescolandosi con dati quantitativi. I risultati di queste analisi sono molteplici: i patient journey maps raccontano la vita del paziente dalla presa di coscienza dei sintomi sino al follow up, ma è possinbile visualizzare i risultati attraverso veri e propri storyboards. Anche i personas nascono da queste analisi e si collocano tra i buyer personas, modelli che partono dai dati utilizzati dal marketing e le protopersonas, profili frutto di un lavoro elaborato con le nostre personalissime lenti.
Il lavoro della UX comprende anche una parte importantissima che da vita a filtri con cui guardare nella maniera più oggettiva la realtà, attraverso la narrazione. “Maria sta finendo il Liceo e vuole trasferirsi all’estero”. La frase chiave ci permette di entrare in profondità nel mondo di Lucia, che è un personas, per capire come la malattia la vincola nelle sue scelte ma anche nella sua quotidianità, come si compone il suo universo di relazioni, luoghi e azioni. L’approccio permette di trasformare gli insight in possibilità per creare strumenti di comunicazione e servizi ad hoc.
Allenare l’empatia come strumento per raggiungere i touchpoints
Riuscire a delineare quelli che sono i personas pazienti, attraverso un’analisi delle informazioni raccolte riguardo ai loro bisogni e comportamenti non è un processo semplice ma permette di focalizzare i servizi sui reali touchpoints.
Come spesso accade ci si limita a segmentare macro gruppi di persone che registrano alcune affinità senza scavare più a fondo, ma soprattutto senza sfruttare un attrezzo fondamentale della user experience, l’empatia.
La capacità di porsi nella situazione di un’altra persona, l’abilità di sentire sulla propria pelle le percezioni dell’altro, per farle proprie e declinarle in una proposta concreta.
Uno strumento che può rivelarsi utile per questo scopo è proprio l’empathy map. Perfetto per raccogliere e gestire le informazioni collezionate attraverso ricerche dirette o indirette sui pazienti, si tratta di un canvas in cui il profilo dell’utente si trova al centro e il lavoro consiste nel cercare di rispondere a 6 domande fondamentali, sulla base dei valori raccolti. Cosa pensa e sente il paziente? Quali sono le opinioni riguardo al servizio offerto che il paziente ascolta da altre persone? Cosa vede? Come si comporta e quale è il suo approccio con la terapia? Che dolori percepisce? Quali sono i suoi valori, che cosa lo rende veramente felice nella vita?
Queste sei proposte di domande rappresentano l’esempio base del modello di mappa empatica che può essere personalizzata anche sulla base delle esigenze.
“I dati recuperati in fase di ricerca con gli utenti possono essere complessi, eterogenei e a volte confusi, il canvas offerto aiuta a trovare un filo conduttore sul quale lavorare in maniera congiunta” come suggerisce Maria Cristina Lavazza nell’Le empathy map del suo blog in cui analizza questo strumento.
Comunicare le Personas
Conoscere e comprendere attraverso la user experience chi sono veramente i pazienti, la loro quotidianità e le loro emozioni, è fondamentale per raccontarli nel modo migliore e comunicare agli stakeholder quali sono le loro esigenze e le loro vere necessità. Andando oltre una presentazione stereotipata tipica di un power point creato per un marchio di cosmesi, nel mondo dei servizi al paziente scendere nel particolare e raccontare l’anima di chi vive tutti i giorni una terapia o è costretto a dei follow up periodici è tanto fondamentale quanto complesso.
Qual è il giusto equilibrio tra informazioni meramente descrittive, comportamentali e di contesto? Le prime sono legate a un racconto informativo, di dato della persona in esame: età, dove vive, dove è nata e cosa fa di professione. Con informazioni comportamentali invece si considerano quelle legate alle abitudini, alle routine, a dei meccanismi psicologici di attivazione di alcuni gesti. Le ultime tipologie di informazioni sono connesse all’utilizzo del servizio proposto.
Come scegliere a cosa dare risalto?
Non esiste una regola scientifica, ogni informazione è veicolo di aspettative e immagini mentali. Nel mondo dell’healthcare, l’aspetto comportamentale del paziente è uno dei requisiti fondamentale per strutturare servizi e prodotti che gli consentano una quotidianità libera da vincoli, ma le informazioni descrittive e di contesto contribuiscono a definire in maniera più specifica il soggetto focus dell’attenzione.
L’approccio legato alla user experience e in particolare al modello dei personas permette di dare forma a soluzioni altamente personalizzate che pongono il paziente al centro. Un primo passo per avvicinare Maria al suo desiderio: quello di vivere a Parigi, proprio come suo padre.
I nuovi touchpoints nell’healthcare 4.0
Tempo di lettura: 5 minuti
Come può Alexa ricordarmi la terapia che devo seguire in autonomia da casa? In che modo lo smartwatch riesce ad aiutare il medico curante?
Non si tratta di prospettive lontane nel tempo, ma di realtà che da qualche anno il mondo dell’healthcare sta sperimentando e approfondendo. I nuovi dispositivi 4.0 e i database sempre più capienti consentono a questi nuovi dispositivi di comunicare tra loro e di tenere traccia degli eventi che registrano. Potenzialità che soprattutto nell’ambito della cura al paziente possono risultare un’arma a doppio taglio se non utilizzate e tutelate nel modo corretto. Tuttavia, non implementare servizi di healthcare che sfruttino le nuove tecnologie per il timore della dispersione dei dati e delle responsabilità, sarebbe un grosso sbaglio. Le relazioni tra medico, paziente, infermieri e Associazioni, non può che essere guardata alla luce di quelle che sono le offerte tecnologiche dell’ultimo decennio.
“Alexa, a che ora devo andare dal medico?”
Gli Smart Speaker, come Google Home o Amazon Echo, stanno diventando sempre di più una componente dell’arredamento domestico. Un device che si collega a tv, smartphone e altri strumenti della casa, che si può comandare con una sola istruzione vocale o con una vera e propria conversazione, comincia a interessare un numero crescente di utenti. Si tratta di una tecnologia che tramite algoritmi implementa nel tempo la personalizzazione delle risposte e che il mondo dell’healthcare può sfruttare soprattutto nell’ambito delle terapie sanitarie croniche o di lungo periodo.
Ricordarsi di assumere la terapia al momento giusto, chiamare l’infermiere per accordarsi sull’infusione domiciliare o anche solo interrogare il dispositivo per dubbi in merito alla gestione della propria terapia possono essere solo alcune delle applicazioni di questa tecnologia.
La personalizzazione delle risposte e quello che appare alla stregua di un apprendimento nel tempo sulla base delle interazioni, rappresenta il valore aggiunto degli Smart Speaker, poiché potrebbe aiutare la realtà sanitaria a proporre soluzioni sempre di più modellate sull’unicità dei pazienti, delle loro patologie e delle esigenze terapeutiche.
Per aiutare coloro che sono affetti da malattie rare a raccogliere i propri dati e sintomi giornalieri in un diario, è stata sviluppata CloudIA. Un’applicazione che si basa sul riconoscimento vocale ed è dotata di notifiche push. L’App presenta anche una sezione per la visualizzazione grafica dei dati che possono essere visionati tramite una panoramica giornaliera, settimanale o mensile. Tramite CloudIA sarà anche possibile monitorare la terapia, impostare l’assunzione dei farmaci prescritti (con possibilità di attivare notifiche per il remind della terapia), segnare le visite sul calendario grazie all’integrazione con Google Calendar, il tutto nel rispetto e nella garanzia della privacy dell’utente. A svilupparla il NECSTLab, del DEIB dipartimento, il laboratorio del Politecnico di Milano che ha partecipato e vinto, con questo progetto, il Rare Disease Hackaton 2018.
Monitorare la propria salute grazie ai Wearable e alle Applicazioni
Il mercato dei dispositivi wearable è destinato a raggiungere i 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2024, come riporta la società di intelligence aziendale IDTechEX.
Orologi intelligenti, fasce elastiche con sensori, auricolari wireless, sono solo alcuni degli strumenti che raccolgono innumerevoli dati sull’attività fisica e sui parametri vitali delle persone. Sempre più spesso questi dati vengono raccolti in app del nostro telefono o mandati in tempo reale a database. Tuttavia, come sottolinea il giornalista Ruggiero Corcella nel suo articolo Servono davvero tutte queste app sulla salute?, il fatto che un’applicazione sia classificata come sanitaria e abbia il marchio CE, non è sufficiente a garantirne la sicurezza dei dati immagazzinati. A creare difficoltà in queste tipologie di garanzie sono gli stessi smartphone, che possono dimostrarsi vulnerabili e suscettibili ad attacchi informatici esterni. Il panorama attuale italiano vede sempre più app utilizzate in ambito healthcare, ma ancora poche regolamentazioni.
Per tutti gli attori dell’ambito sanitario rappresentano supporti preziosi per monitorare l’andamento della salute del paziente, dei suoi parametri fisici, delle risposte intellettive e per produrre avvisi tempestivi da affiancare ai controlli periodici. Ed è proprio la multinazionale di Cupertino Apple, tra le prime a lanciare sul mercato un orologio digitale in grado di raccogliere dati sull’attività fisica e sul sonno delle persone, a iniziare sin da subito a studiare come sviluppare il loro wearable per renderlo di supporto in campo medico. Dopo poco tempo dall’uscita dell’aggiornamento dell’Apple Watch 4 che permette di individuare i segni di una fibrillazione atriale, alcune indiscrezioni sembrano confermare che per l’uscita della versione 5, verranno implementate funzionalità per il monitoraggio del glucosio nel sangue, per vedere se chi lo indossa ha un basso tasso glicemico. Già nel 2018, una ricerca condotta dall’azienda Cardiogram insieme all’università di San Francisco aveva dimostrato su un campione di utenti che, attraverso l’uso di algoritmi di apprendimento automatico e delle reta neurale “DeepHearth” di Cardiogram, sembrava possibile individuare il diabete attraverso un normale sensore del battito.
Anche il cerotto Abbott FreeStyle per il monitoraggio continuo della glicemia si è rivelato sin da subito un’invenzione capace di migliorare la vita delle persone affette da diabete. Senza bisogno di effettuare frequenti punture su un dito, è possibile monitorare l’andamento del glucosio e il valore dello stesso tramite il sensore FreeStyle Libre appositamente posto sul braccio. Scaricando, poi, un’applicazione sul proprio telefono e avvicinando quest’ultimo al sensore è possibile vedere la lettura del valore del glucosio attuale, consultare lo storico dei dati e la freccia di tendenza. Tutte informazioni che, senza la necessità di un terzo dispositivo intermedio tra cerotto e applicazione, sono ora disponibili direttamente sullo smartphone e inviabili al proprio medico.
I servizi al paziente alla portata di un “button”
Comprare le capsule per la macchina del caffè, rifornire la credenza con i biscotti che preferiamo e avere sempre a disposizione una riserva di detersivo non è mai stato così facile. Da quando Amazon ha commercializzato i Dash buttons, il modo di fare acquisti è cambiato radicalmente. Schiacciare il pulsante attiva direttamente l’ordine del prodotto che è stato scelto e programmato per poi farlo recapitare a casa del cliente.
Una tecnologia, quella dell’AWS IoT 1-Click (il servizio IoT di Amazon Web Services alla base del funzionamento dei Dash Buttons), che può essere applicata anche al mondo dell’healthcare per aiutare a velocizzare la comunicazione e l’attivazione di servizi tra le aziende farmaceutiche, gli operatori sanitari e i pazienti. Spesso, infatti, le persone sono costrette a conciliare le loro necessità terapeutiche con la vita quotidiana e si rivela sempre più necessario facilitare le relazioni e gli scambi di informazioni tra gli attori del mondo sanitario. Aumentare l’engagement del paziente, indipendentemente dal suo livello di alfabetizzazione tecnologica, è fondamentale per chi offre servizi di supporto personalizzati e sempre più digitali.
Un semplice bottone che non presenta vincoli fisici e può essere portato con sé o posizionato dentro casa, rappresenta uno strumento flessibile e modulabile sulle base delle diverse esigenze degli operatori. Un modo per portare relazioni e comunicazioni solitamente più complesse e lunghe alla portata di un gesto semplice, intuitivo, veloce e immediato.