PATIENT SUPPORT PROGRAMS E PATIENT SERVICES: LE STRATEGIE COMUNICATIVE CHE AFFINANO LE COMPETENZE MIGLIORANDO IL SERVIZIO

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Comunicare l’efficacia e il valore di Patient support programs (PSP) e Patient services (PS) è una sfida che coinvolge il sistema salute e gli healthcare professional che dialogano con le persone assistite. L’esigenza è rispondere a bisogni complessi, soprattutto in contesti terapeutici cronici, oncologici o legati a malattie rare, per favorire l’aderenza terapeutica, supportare il percorso di cura, ottimizzare gli esiti clinici e migliorare la qualità di vita avvantaggiando il sistema sanitario in termini di costi. Scopriamo in che modo.

UN APPROCCIO BASATO SUL VALORE

Uno studio della University of Utah (Salt Lake City) College of Pharmacy, Department of Pharmacotherapy (2018) ha rilevato come il sistema sanitario statunitense si stia evolvendo da un approccio di assistenza basato sul volume a un approccio di assistenza basato sul valore tramite strategie che ottimizzano i risultati delle persone assistite, tra cui programmi di istruzione e colloqui motivazionali, supporto infermieristico e psicologico. Il risultato è un miglioramento dell’aderenza terapeutica fino al 35%, una riduzione delle ospedalizzazioni e un’ottimizzazione degli esiti clinici. I servizi healthcare ad alto valore aggiunto, come i PSP e i PS erogati da PHD Lifescience, integrano competenze mediche, infermieristiche, fisioterapiche, psicologiche, tecnologiche (IT), gestionali e comunicazionali con l’obiettivo di favorire l’accesso alle cure e di promuovere l’apprendimento e la divulgazione di informazioni, contenuti e fasi di un processo, incoraggiando il pubblico target alla condivisione di messaggi con le proprie reti.

TRASPARENZA, PERSONALIZZAZIONE E OMNICHANNEL

I principi per una comunicazione efficace in ambito PSP e PS dovrebbero basarsi sulla trasparenza e sulla personalizzazione. Ogni paziente ha esigenze specifiche, che dipendono da fattori come età, condizione clinica e contesto socioeconomico: personalizzare i messaggi a loro rivolti significa coinvolgerli in modo più efficace. Uno studio del Journal of Medical Internet Research (2020), per esempio, ha evidenziato come i materiali educativi adattati alle preferenze delle persone assistite migliorino la comprensione delle terapie rispetto ai materiali standardizzati. Un’efficace strategia di comunicazione dovrebbe dunque utilizzare canali multipli di tipo digitale (per esempio email, app per la gestione delle terapie e social media); tradizionale (come opuscoli, call center e incontri in presenza), istituzionale (per esempio comunicazioni tramite centri clinici, medici e farmacie). A tal proposito, uno studio della National University of Singapore (2022) ha dimostrato come la strategia omnichannel aumenti l’engagement del paziente del 40% rispetto a una strategia monocanale favorendo l’alfabetizzazione sanitaria con una conseguente riduzione degli errori terapeutici generato dall’innesco di un circolo virtuoso di responsabilità condivisa tra chi offre informazioni sanitarie (healthcare professional) e chi le riceve (persone assistite).

IL SUPPORTO DELLA TECNOLOGIA

La tecnologia mette a disposizione diversi strumenti per comunicare, tramite l’omnicanalità, PSP e PS:

  • App mobili: consentono alle persone assistite di monitorare le terapie e ricevere notifiche.
  • Telemedicina: favorisce il dialogo paziente-healthcare professional.
  • Chatbot e AI: rispondono mettendo a disposizione un supporto continuativo. 
  • Video tutorial educativi: facilitano, tramite contenuti audiovisivi interattivi e personalizzati, la memorizzazione in maniera più rapida ed efficace aumentando l’engagement e migliorando la user experience nei confronti del servizio.
  • Assistenti virtuali: utilizzati, soprattutto dalle nuove generazioni, sono utili al monitoraggio di condizioni di salute e farmaci.
  • Blog, forum e siti internet: possono supportare, se curati da healthcare professioanel, le persone durante il loro percorso di cura.
  • Podcast: rappresentano un’evoluzione delle modalità tradizionali educative e di engagement nella pratica clinica, sono accessibili, di facile fruizione, consentono l’ascolto sia online che offline e offrono contenuti di approfondimento verticale o di storytelling emotivo
STRATEGIA FLUIDA PER UN’ASSISTENZA SANITARIA DI PROSSIMITÁ

La consumerizzazione della sanità vede le persone con un ruolo più attivo nella ricerca, nella scelta e nel controllo delle proprie cure mediche: ciò richiede una costruzione di una strategia healthcare multicanale che presidi il maggior numero di touchpoint possibili. Costruire e applicare strategie comunicative digitalmente evolute che prevedano un approccio integrato, human-centered e sostenuto da tecnologie e piattaforme innovative e interattive significa generare un circolo virtuoso, garante di cure migliori e sempre più precise, a vantaggio di persone, imprese, servizio sanitario pubblico. La struttura delle informazioni e la strategia di inserimento dei contenuti nelle differenti piattaforme digitali che veicolano l’healthcare communication vanno pensati e disegnati in maniera fluida per rispondere a domande articolate, che sempre di più, oggi, necessitano di una rete assistenziale di prossimità (Case e ospedali di comunità, farmacie, MMG, Centrali operative territoriali, personale infermieristico di comunità, Pediatri di libera scelta) e metodi dinamici capaci di “correggere il tiro” rivedendo per esempio i percorsi terapeutici in funzione delle informazioni che arrivano dai e dalle pazienti.

LE PAROLE SONO IMPORTANTI: APPUNTI SUL LINGUAGGIO CHE CURA

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Ci si può prendere cura delle persone attraverso la scelta delle parole? Sì perché il linguaggio consente di veicolare non solo le informazioni, ma anche le storie, le idee, i valori e la percezione del proprio sé e soprattutto il rispetto. Quando si parla di linguaggio inclusivo nel mondo della salute non si parla solo di genere ma soprattutto di eliminare la sovraestensione del concetto di malattia. Scegliere di rivolgersi alle persone identificandole in primis come malate trasferisce un messaggio: quello che la malattia venga al primo posto. E se così non fosse? 

UN CAMBIO DI PARADIGMA NEL SISTEMA SALUTE

Quando parliamo di malattia non ci riferiamo più unicamente al risultato di fattori biologici e genetici, ma ad una condizione multifattoriale, dove il contesto sociale, lavorativo, ambientale, economico e linguistico mescolandosi alla propria autopercezione danno vita a questa condizione. Il nuovo paradigma di cura è sempre più orientato alla generazione di un ecosistema di engagement, come teorizzato da Guendalina Graffigna, PhD Professor Associato della Facoltà di Psicologia e CoordinatorƏ EngageMinds HubConsumer&Health Research Center dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La persona, dunque, non sta al centro del sistema salute ma ne fa parte, passando dal ruolo di soggetto osservato a quello di codecisore del proprio percorso di cura. Nella pratica questo passa per la sua identificazione in primis come persona attiva, che si compone di tutti gli aspetti che la determinano: il lavoro, le passioni, gli hobby e soprattutto la scelta di come affrontare la propria patologia. 

Il linguaggio, di conseguenza, ha la funzione di rispecchiare questo nuovo approccio, superando la scelta di parole come malatə o affettə da che, pur rispondendo a pieno alla definizione clinica, non consentono di superare un bias legato a una visione passiva del proprio stato di salute. La ricerca scientifica e quella in campo farmaceutico, mescolate alle soluzioni digitali messe a servizio della cura, permettono sempre di più la liberazione dal concetto di malattia come unica determinazione della persona che ne è soggetta, per questo sempre di più le scelte linguistiche, gli artefatti visivi, i prodotti audio si pongono l’obiettivo di portare avanti una nuova narrazione, più in linea con il bisogno delle persone di determinarsi in quanto tali.

GENERARE ACCESSIBILITÀ TRAMITE IL LINGUAGGIO

L’inclusione si rende possibile solo allargando le maglie dell’accessibilità, che anche in salute non consiste in altro che facilitare la fruizione delle informazioni favorendo la rappresentazione delle differenze, anche quelle più rare. 

Negli ultimi anni la diffusione di espedienti linguistici come lo schwa dimostrano la volontà di restituire autodeterminazione individuale alle persone, senza stereotipizzazioni, ma cosa succede se un simbolo interferisce sulla lettura di un testo per persone con disturbi della lettura? Per superare l’impasse sono state redatte linee guida di comunicazione inclusiva e principi di scrittura accessibile. Il documento redatto dall’Università IUAV di Venezia parla per esempio, di caratteri, strutture e contenuti da inserire nei testi per rendere la scrittura accessibile a persone con disturbi specifici dell’apprendimento, con disabilità intellettive o in età alta. Il documento fornisce spunti interessanti anche sul linguaggio iconico di materiali informativi per superare gli stereotipi e i pregiudizi garantendo dunque un’equa rappresentatività. 

AL FIANCO DELLE PERSONE SUPPORTATI DAL DIGITALE

Non si fa, dunque, inclusione solo eliminando il concetto di sovraestensione di genere. La sfida è molto più complessa e, ancora una volta, nasce dall’ascolto della narrazione delle persone direttamente interessate da questi argomenti. La tecnologia, in questo senso, fornisce supporto dando non solo ascolto ma anche voce e strumenti alle persone assistite. Pensiamo all’AI che, con la sua rapida evoluzione nel campo della comunicazione umana, ha migliorato l’accessibilità all’assistenza sanitaria, facilitando la comunicazione con Ə healthcare professional. Nella direzione dell’inclusività, inoltre, si stanno sempre più muovendo le organizzazioni internazionali. Un esempio è World Wide Web Consortium (W3C), organizzazione senza scopo di lucro il cui scopo è migliorare l’accessibilità digitale delle persone con disabilità che possono riscontrare difficoltà non solo nell’utilizzo del computer, ma anche del web. Questa realtà ha delineato alcune linee guida per rendere accessibile un sito tra cui: fornire alternative equivalenti al contenuto audio e visivo, non ricorrere a un solo colore, verificare che i documenti siano chiari e semplici, fornire meccanismi di navigazione chiari, verificare che l’utente possa tenere sotto controllo i cambiamenti di contenuto nel tempo, progettare per garantire l’indipendenza dal dispositivo. Una serie di punti per eliminare le barriere architettoniche, digitali e sociali creando luoghi virtuali dal design e dall’utilizzo accessibile. 

MAKE IT VISUAL: TECNICHE E STRUMENTI DELLA HEALTHCARE COMMUNICATION

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Comunicare contenuti significa mettere in campo competenze differenti che devono essere unite da legami di senso. Molto spesso si commette l’errore di associare il contenuto alle parole ma la questione è ben più ampia: come spiega Valeria Envangelistella, UX Designer, è importante pensare al contenuto come a un sistema sinsemico, in cui parole e immagini danno e prendono senso proprio perché inseriti in uno spazio che contribuiscono a comporre attraverso le reciproche relazioni. Se pensiamo alla healthcare communication questo principio è ancora più importante perché molto spesso il contenuto deve risultare comprensibile a target fra loro differenti pur mantenendo integre informazioni complesse. Secondo il documento di comunicazione strategica Principles for effective communications undestandables redatto dall’OMS vige il principio make it visual per rendere immediati tutti i concetti espressi da tecnicismi. I mezzi visivi (video, fotografie, infografiche, grafici e illustrazioni) diventano così strumenti che favoriscono l’apprendimento e la divulgazione di informazioni, contenuti e fasi di un processo, incoraggiando il pubblico target alla condivisione di messaggi con le proprie reti. In ambito educativo sanitario, il “pensare per immagini” sta diventando una vera e propria metodologia di formazione.

IL VISUAL THINKING NELL’HEALTHCARE

Il visual thinking, ovvero l’attività di “pensare per immagini”, permette di rappresentare concetti e pensieri attraverso immagini e presentazioni visive. Un recente studio dell’Università Federico II di Napoli ha messo in luce la significativa facilitazione nei processi comunicativi della formazione sanitaria proprio grazie a un incremento del visual thinking. Ne scaturiscono benefici per gli healthcare professional che, tramite l’attivazione di processi di osservazione, analisi,  confronto e discussione, acquisiscono un metodo da applicare nell’attività clinica. Innescando tale circolo virtuoso si implementano le capacità di problem solving e di pensiero critico, viene migliorata la propensione al lavoro di  gruppo, si affinano le competenze inerenti l’esame obiettivo deə paziente coltivandone l’empatia e il percorso di alfabetizzazione, inteso come responsabilità condivisa tra chi offre informazioni sanitarie e chi le riceve, come dimostra questo viewpoint  del Journal of Visual Communication in Medicine. La sfida, dunque, è comunicare in maniera sempre più diretta e innovativa con i propri interlocutori.

VISUAL STORYTELLING

Il visual storytelling, sempre più usato dagli enti e dalle aziende sanitarie, traduce in maniera efficace la realtà di un vissuto. Il racconto diventa immagine caricandosi di efficacia tramite l’invio di specifici messaggi alla propria audience e mettendola in un piano di ascolto. Il processo di creazione narrativo richiede però precise regole e conoscenze e una puntuale pianificazione. Qualche buon esempio di visual storytelling? La video narrazione messa a punto dalla struttura statunitense Bryn Mawr Rehab Hospital, incentrata su una storia di riabilitazione post ictus; oppure il video racconto elaborato dall’organizzazione statunitense Mercy Urgent Care sul tema dell’infortunio.

LA SFIDA È UNA COMUNICAZIONE SEMPRE PIÚ COINVOLGENTE E SOCIAL

La generazione di lead e il ritorno sull’investimento sono strettamente legati alla differenziazione del contenuto visivo offerto e alla connessione emotiva che si crea con il proprio pubblico target. In tal senso il visual storytelling è efficace perché facilita la memorizzazione e l’assimilazione delle informazioni; ha un approccio narrativo più familiare; offre un accesso semplificato a concetti astratti grazie al supporto di immagini e video; rafforza la motivazione deə discentə; stimola la creazione di nuove storie favorendo lo scambio collaborativo delle conoscenze, il confronto critico e la ricerca di nuove interpretazioni. A seconda del tema, del servizio o del prodotto da divulgare si possono realizzare, per esempio, video in motion graphic che, tramite grafiche animate, spiegano in modo conciso concetti complessi facilmente comprensibili a un’audience generalista; oppure video rubriche tematiche che, tramite la serialità delle puntate, spiegano prodotti e servizi descrivendo bisogni e illustrando soluzioni. Il formato video, inoltre, è tra i più ingaggianti per la diffusione sui canali social a patto che segua una narrazione lineare e condivisa tra i vari social network; utilizzi contenuti originali e realizzati ad hoc; veicoli valori genuini e trasmetta emozioni; mantenga una certa frequenza senza essere prettamente autoreferenziale; e, soprattutto, conservi la sua autorevolezza. La sfida, infatti, è educare a un uso più consapevole dello strumento mantenendo il delicato equilibrio tra creatività e autorevolezza per fare dei vari TikTok (@unaginecologaperamica), Instagram (medicina_cb) e Facebook (Claudio Olivieri Chirurgo Pediatrico) degli strumenti di divulgazione e sensibilizzazione sui temi della salute avvicinandosi anche ai più giovani.

 

CHATGPT SI FA STRADA NEL COPYWRITING SCIENTIFICO

ChatGPT diventa autore scientifico

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Quando gli chiedi chi è, lui risponde: «Sono un programma di intelligenza artificiale progettato per aiutare a rispondere a domande e fornire informazioni su una vasta gamma di argomenti. In qualità di AI, sono in grado di elaborare e analizzare grandi quantità di dati e posso fornire risposte a domande e domande sulla base delle informazioni su cui sono stato formato. Non ho sentimenti o preferenze personali e sono qui per fornire informazioni e assistenza al meglio delle mie capacità».

ChatGPT, acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer, è stato sviluppato da poco (a novembre 2022 da OpenAI e finanziato da Microsoft sulla base dell’infrastruttura cloud Azure) ma ha già conquistato un successo planetario. Il motivo? È attivabile gratuitamente su https://chat.openai.com e grazie alle sue solide basi di intelligenza artificiale e machine learning è stato addestrato su un’enorme quantità di materiali scientifici e tecnici. Tanto da suscitare l’attenzione del mondo accademico e non solo. ChatGPT, in qualità di chatbot, si esprime normalmente con il testo ed è in grado di fornire un livello di conversazione al pari di un umano, anzi di un fine intellettuale onnisciente. È capace di comprendere e intrattenere interazioni scritte anche molto complesse con gli utenti e sa scrivere abstract e articoli scientifici talmente verosimili da confondersi con gli autori più accreditati. Un vero e proprio copywriter artificiale che ha competenze di ricercatore, divulgatore, marketer e qualche altra decina di professionalità.

L’app scrive e firma articoli

La rivista infermieristica Nurse Education in Practice, pubblicata da Elsevier, ha introdotto ChatGPT tra i suoi autori, assegnandogli un’email e un numero identificativo. Con il suo ingresso in redazione, il chatbot ha firmato un articolo scritto a quattro mani con ə Prof. Siobhan O’Connor dell’Università canadese Western. Il testo, che si avvale del bagaglio di conoscenze di unə docente e del mix di competenze dell’apprendimento supervisionato e dell’apprendimento per rinforzo del chatbot, prende il titolo di Open artificial intelligence platforms in nursing education: tools for academic progress or abuse?. L’articolo, non a caso, tratta il tema dell’intelligenza artificiale nella formazione infermieristica, soffermandosi sull’annosa questione dell’AI come strumento di progresso accademico o come fonte di abusi e fakenews.

L’impatto sulla società

È vero, i risultanti sorprendenti delle ricerche condotte da ChatGPT hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica per i possibili risvolti sulle pubblicazioni e anche la comunità finanziaria vede interessanti opportunità di investimento. Al punto che, nel 2019, Microsoft ha investito un miliardo di dollari in OpenAi e, secondo l’agenzia Bloomberg, sarebbe pronta a mettere altri 10 miliardi di dollari. Tuttavia gli esperti di AI invitano alla cautela, soprattutto in tema di disinformazione. Perché un aspetto distintivo di Chat GPT è proprio quello di presentare agli occhi dell’utente un testo corretto dal punto di vista sintattico, grammaticale e verosimile per quello che riguarda i contenuti, tanto da trarre facilmente in inganno i meno esperti. C’è poi da considerare che Chat GPT ha un dataset che si ferma al 2021 e che, quindi, è molto meno preciso sugli eventi accaduti a questa altezza cronologica. Inoltre il chatbot è in grado di generare testi sulla base di modelli assorbiti grazie a enormi quantità di dati raccolti dal web. Spesso, dunque, prima di ottenere il contenuto desiderato occorre procedere per prove ed errori. D’altronde è pur sempre un prototipo e gli sviluppatori stanno lavorando per migliorare l’autorevolezza dei contenuti tramite versioni del software più efficienti. Serviranno pertanto figure in grado di monitorare la performance dei modelli, insegnando loro dove stanno sbagliando e correggendone la rotta, cosicché questi algoritmi diventino un vero asset per le nostre società.

Uno strumento collaborativo per migliorare l’healthcare

I risultati ottenuti fino a questo momento lasciano ben sperare sul miglioramento dell’AI e di ChatGPT e sul loro impiego nell’healthcare. Ciò che occorre è la collaborazione da parte di accademici, clinici e professionisti sanitari. Queste figure possono infatti contribuire all’addestramento degli algoritmi di intelligenza artificiale rilevando e classificando determinati modelli di dati che riflettono il modo in cui il linguaggio viene effettivamente utilizzato nel settore sanitario. Tramite l’NLP (natural language processing, elaborazione del linguaggio naturale) gli algoritmi di AI possono isolare dati significativi restituendo informazioni professionali attendibili a pazienti e operatori sanitari con risposte personalizzate su larga scala. Cosa dobbiamo dunque aspettarci in un futuro non troppo lontano? Certamente l’IA sarà embeddata nella maggior parte dei servizi di produttività personale – come il pacchetto di Microsoft Office – e di utilizzo della rete e migliorerà la comunicazione tra uomo e macchina in molti campi di applicazione, incluso quello del copywriting scientifico. Va però riconosciuto che questi sistemi non potranno sostituire completamente la conoscenza umana che si avvale di molti altri modi e sensi per esprimersi e produrre: pensiamo al tone of voice e all’identità verbale che rende un contenuto o un brand unici e distintivi. L’abilità di utilizzo delle chatbot starà nell’avvalersene con perizia, verificandone l’apporto e subordinandolo ad attività, inclusa la scrittura di testi, che non richiedano empatia e approfondimento.

 

Il Metaverso si apre al primo avatar emofilico

The Nemesis_sul Metaverso il primo paziente con Emofilia

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HELENE12: Perché sei fermo qui da giorni?

I_EM: Perché ho l’emofilia e dicono che non posso muovermi.

PAULINE_CC: Ed è vero?

I_EM: Sono gli altri che la pensano così.

HELENE12: Quindi non sei realmente bloccato?

I_EM: No, se vuoi ti spiego.

ROCKJACK: Volentieri. Andiamo a passeggiare intanto?

I_EM: Anche a correre, se vuoi!

Milioni di persone oggi vivono nel Metaverso, muovendosi, giocando, interagendo e sperimentando la libertà. Da qualche tempo questo spazio virtuale tridimensionale che si sovrappone al mondo fisico della vita reale, tramite la piattaforma The Nemesis ha aperto le porte a I_EM. Parliamo del primo avatar con emofilia che, inizialmente bloccato dalle paure degli altri, comincia a muoversi, interagire e farsi conoscere dai suoi coetanei ribaltando, attraverso la libertà virtuale, un pregiudizio reale. L’iniziativa di inclusione di I_EM è frutto di un progetto di comunicazione sociale, promosso e realizzato dall’agenzia BB&C Group con la collaborazione delle associazioni di pazienti Fondazione Paracelso e A.C.E. Milano. Grazie a questo progetto il mondo health si cala virtualmente nei panni di chi è affetto da una malattia rara come l’emofilia, caratterizzata dalla carenza di uno specifico fattore della coagulazione. Si tratta di un esperimento che amplia il raggio di innovazione tecnologica della medicina, dove già da tempo si adottano soluzioni basate su realtà virtuale, realtà aumentata e intelligenza artificiale. Facciamo qualche esempio. I nuovi sistemi tecnologici consentono, per esempio, di effettuare terapie fisiche, trattare lo stress post-traumatico legato a una patologia oppure offrire un approccio personalizzato. In questo modo vengono garantiti un recupero più efficace e una personalizzazione del supporto, dell’assistenza e del monitoraggio a pazienti e caregiver. Con The Nemesis e il Metaverso tutti questi strumenti rafforzano la loro carica comunicativa diventando immediati e utilizzabili da tutti. Perché? Si abbattono le barriere d’ingresso. Per connettersi bastano infatti uno smartphone, un pc e un collegamento internet, mentre il visore è necessario solo per chi desidera un’esperienza ancora più immersiva.

Oltre il pregiudizio

Il Metaverso di The Nemesis ci fa comprendere quanto il settore salute sia interessato a dare visibilità e collocare nella giusta prospettiva le malattie rare e, nel caso specifico, l’emofilia. L’iniziale immobilità e assenza di interazione di I_EM è una voluta provocazione nei confronti deə altrə, in questo caso avatar, a conoscere le reali implicazioni e le concrete possibilità di unə emofilicə, che è in grado di stabilire relazioni e vivere esperienze. La clip che lancia I_EM e invita a incontrarlo su The Nemesis recita: «godersi la vita è possibile per chi oggi ha l’emofilia», esortando la comunità reale e virtuale a «muoversi assieme oltre i pregiudizi». Sappiamo infatti quanto sia importante per ə pazienti e per i loro familiari portare l’attenzione sul tema coinvolgendo non solo la comunità scientifica. Per far acquisire consapevolezza su cosa significhi essere emofilici occorre sensibilizzare la società e in particolare il pubblico più giovane stimolando la curiosità con gli strumenti e i canali più consoni (i social network, la rete e il gaming). Tramite I_EM si tenta dunque di dare risposte concrete a domande complesse. Cosa significa per un ragazzo essere affetto da emofilia? Come affronta il mondo e il rapporto con i suoi coetanei?

Il ruolo dell’healthcare

L’emofilia inficia la corretta coagulazione del sangue, ma non la libertà delle persone che ne sono affette. Ecco perché è importante analizzarne i bisogni e offrire soluzioni che consentano di sviluppare una maggiore consapevolezza e accettazione della propria malattia. L’approccio scientifico multidisciplinare da dedicare alle persone affette da malattie rare come l’emofilia dovrebbe offrire tutta una serie servizi. Parliamo di servizi informativi, di counselling, di risoluzione delle criticità e di sostegno psicologico. Chi vive sulla propria pelle il burden of disease e chi, come i familiari, vive di riflesso la patologia, ha bisogno di superare tante difficoltà durante tutto il percorso di cura. Ecco perché occorre anzitutto analizzare i bisogni. Ciò permette il design di progetti che garantiscono aə pazientə risposte concrete sul percorso da intraprendere per ottenere la diagnosi corretta, la terapia appropriata e la continuità assistenziale. In questo modo si rafforza il concetto di cura globale che coinvolge strutture, centri, specialisti, territorio e associazioni di pazienti.  

L’Healthcare si evolve con la Voice search

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Parlare invece di digitare: le persone interagiscono in modo sempre più naturale con la tecnologia instaurando vere e proprie conversazioni con i dispositivi mobili (speaker e altri device smart) che rendono la comunicazione bilaterale; in sostanza chi effettua la ricerca pone la domanda e la macchina dà la risposta. Ciò accade nella vita di tutti i giorni e in particolare quando si ha bisogno di assistenza sanitaria o si cercano informazioni e supporto in ambito salute.

Un’analisi condotta da Google ha evidenziato le principali ragioni per cui le persone utilizzano il loro assistente virtuale:

  • Permette il multitasking
  • Consente di fare le cose più velocemente
  • Fa ottenere istantaneamente risposte e informazioni
  • Semplifica la routine quotidiana

Recenti dati pubblicati dalla piattaforma Chatmeter hanno calcolato che negli ultimi anni 19,1 milioni di persone si sono rivolte ai propri assistenti vocali per questioni sanitarie. Il più grande caso d’uso dell’assistente vocale segnalato per l’assistenza sanitaria nel 2019 è stato quello di chiedere informazioni sui sintomi della malattia (72,9%). Le persone hanno anche utilizzato assistenti vocali per avere informazioni mediche (45,9%), trovare l’ubicazione di un fornitore di servizi sanitari (37,7%), ricercare opzioni di trattamento (37,7%), ottenere informazioni nutrizionali (29,4%) e trovare un medico o un altro fornitore (28,2%). I consumatori, di tutte le età e di ogni genere, hanno dichiarato di sentirsi a proprio agio nell’uso degli assistenti vocali soprattutto per l’ampia varietà di argomenti trattati in ambito health.

L’obiettivo: rendere le pharma digitalmente evolute

La Voice Search si inserisce nel segmento del pharma digitalmente evoluto che prevede un approccio integrato, sempre più human-centered e sostenuto da tecnologie e piattaforme innovative e interattive. La consumerizzazione della sanità vede le persone con un ruolo più attivo nella ricerca, nella scelta e nel controllo delle proprie cure mediche: ciò richiede una costruzione di una strategia healthcare multicanale che presidi il maggior numero di touchpoint possibili.

Come funziona?

Dialogando con le VUI (Voice User Interface) con cui si è connessi – da Alexa a Cortana passando per Siri, Amazon Echo, Google Voice Search, Google Home – si inviano degli input vocali di richiesta (note in gergo come query) che la tecnologia interpreta e restituisce con i relativi risultati, anche questi vocali. È grazie ai potenti sistemi di intelligenza artificiale che i dispositivi, una volta ricevuta la query, restituiscono i risultati analizzando la grande mole di dati posizionata su un cloud connesso a internet.

Tale modifica nel comportamento di ricerca degli utenti influenza lo sviluppo degli algoritmi e ha conseguenze sulla SEO. Ecco perché durante il processo di ottimizzazione dei siti web per i motori di ricerca va presa in considerazione fin da subito la ricerca vocale (Voice Search) seguendo le linee guida della VEO (Voice Engine Optimization) e della VSO, (Voice Search Optimization), nuovi paradigmi complementari alla SEO. L’obiettivo è offrire alle persone la miglior esperienza conversazionale e di permettere alle pagine web e ai contenuti di posizionarsi nei cosiddetti VERSO (Vocal Engine Result Search Output): i risultati offerti dai dispositivi di Voice Search che corrispondono alle SERP (Search Engine Results Pages) ovvero le pagine dei risultati del motore di ricerca. È così che la Vocal Search favorisce il contatto con il brand e le conversioni.

In che modo un brand healthcare può ottenere traffico dalle ricerche vocali?

La strategia da seguire è l’ottimizzazione del motore di ricerca vocale VEO per raggiungere il maggior numero di pazienti tramite la voce. Rispetto alla SEO tradizionale, la Vocal Search richiede strategie e tecniche di posizionamento diverse e complementari. Occorre pertanto ottimizzare anzitutto gli aspetti tecnici del sito web con i Web Core Vitals, gli indicatori di performance che influiscono sull’indicizzazione dei risultati intercettando le richieste vocali. Per assicurarsi poi che il brand, l’ospedale, lo specialista o la farmacia sia elencato tra i risultati di ricerca è necessario curare l’online business profile fornendo all’utenza una serie di informazioni quali il nome dell’attività, l’indirizzo, i recapiti, il sito web, la categoria e la descrizione dell’attività e dei prodotti. Anche interagire con i pazienti rispondendo a domande e recensioni migliora il ranking e fa guadagnare classifiche più alte.

Parole chiave e strategia fluida nell’ottica dell’assistenza sanitaria di prossimità

La struttura dei siti, delle informazioni e la strategia di inserimento dei contenuti vanno pensati in maniera fluida per rispondere a domande sempre più articolate e meno circoscritte, artificiali e robotiche. Le ricerche vocali si basano su long-tail keyword e frasi più simili al linguaggio parlato con forme verbali in prima persona. Un esempio? I pazienti non cercano più “cura emofilia” ma “come posso curare l’emofilia?”. Le query vocali impiegano question words (cosa, dove, come, quanto, quale e quando) e le ricerche locali sono contraddistinte da espressioni del tipo: qui vicino, vicino a me, nei pressi di, in zona, che permettono ai pazienti di trovare nell’area geografica a loro più comoda il nuovo medico curante piuttosto che l’operatore sanitario o il centro clinico più vicino.

Human centered design in sanità: i cultural probes

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In maniera sempre più frequente e strutturata la creazione di servizi e campagne per i pazienti parte dalla loro osservazione e ascolto. Interviste etnografiche, focus group, osservazioni partecipanti sono tecniche del patient experience design che risultano fondamentali per collezionare informazioni sui bisogni, i pain points della journey.

Le cultural probes si inseriscono nel quadro dello human centered design e offrono un vantaggio rispetto ai metodi precedentemente citati: permettono di misurare l’interazione del paziente real time, senza la mediazione e la presenza del ricercatore.

Raccogliere informazioni in maniera informale e interattiva

Possiamo considerare i cultural probes come sorte di diari di bordo che vanno oltre le parole e viaggiano su canali differenti.

Generalmente questa tecnica prevede l’invio agli interessati di un kit che può contenere oggetti (post it per annotare, cartoline, una macchina fotografica, degli stickers, una penna) o semplicemente delle istruzioni qualora le attività si svolgano online.

Non ci sono limiti al materiale da inserire in un kit, che può comprendere qualsiasi cosa aiuti a raccogliere informazioni in maniera informale e creativa, nella scelta degli strumenti è fondamentale tenere conto delle tipologie di persone a cui è destinato il kit e lo scenario in cui questo si colloca.

Alla base della creazione di questi strumenti le domande guida rimangono:

  • cosa, quando dove, perché, chi e come
  • come stanno interagendo gli utenti?
  • quali sono le emozioni che guidano le scelte e le azioni?

Le cultural probes scatenano un’ottima reazione iniziale perché giocano su una risposta emozionale immediata legata alla sorpresa e alla creatività, ma hanno bisogno di essere gestite in seguito in maniera molto attenta. Il tempo di somministrazione può variare da qualche settimana fino a un massimo di un mese.

Cultural probes nell’ healthcare

Analizzare lo stato d’animo di un paziente allo start di una terapia, cercare di comprendere meglio come si informa, quali sono i pain points che riguardano la quotidianità, come lo spazio e gli elementi che lo circondano siano in grado di condizionare il suo rapporto con la malattia.

Se strumenti come le interviste o le osservazioni risultano estremamente efficaci nell’ambito del patient experience design, le cultural probes presentano un ulteriore elemento a favore: tutte le action che il paziente è chiamato a fare non prevedono alcuna mediazione del ricercatore, questo permette di raccogliere dati senza il rischio di influenze esterne. Compilare un diario, rispondere a stimoli digitali, fotografare oggetti, spazi o persone sono attività che possono essere svolte in maniera autonoma, il paziente sceglie il dove, il come e il perché.

Questi strumenti, basandosi su una interazione che ha bisogno di mantenersi costante per tutta la durata della ricerca, presentano una criticità: non sempre sortiscono i risultati qualitativi sperati. È possibile che il paziente abbandoni le interazioni con il kit, per questo è fondamentale stabilire il giusto slot temporale per la ricerca e creare il giusto mix di attività analogiche e digitali e una serie di appuntamenti di contatto per verificare che le attività si stiano svolgendo.

Il digitale facilita l’interazione dei partecipanti: una volta stabiliti i task delle cultural, queste possono essere facilitate da strumenti mobile. La macchina fotografica usa e getta può essere sostituita della fotocamera del telefono, il diario cartaceo da una nota nel telefono, una serie di immagini di carta possono tramutarsi in fotografie mandate in una chat.

Localizzare le campagne di comunicazione multicountry

campagna multicountry

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Adattare i messaggi, i materiali, le immagini che compongono una campagna di comunicazione multipaese ai codici specifici di ciascuna country. Mantenere i messaggi core definiti a livello internazionale usando stili comunicativi che risultino efficaci per coloro a cui si dirigono: pazienti, caregiver e HCPs.

Sempre più spesso si assiste ad una localizzazione delle campagne di comunicazione nel settore healthcare. L’obiettivo? Parlare il linguaggio dei propri destinatari e condividere con questi codici che permettano ai messaggi di arrivare in maniera più efficace.

Conoscere i codici di comunicazione

Sempre più spesso le campagne di comunicazione – dall’awareness alla formazione passando per la promozione – vengono stabilite dagli headquarter delle Pharma con un mandato che viene trasferito su tutti i tools: “to be localized”. La localizzazione è un processo necessario: la conoscenza del codice linguistico, del simbolismo legato ai colori e all’immaginario che racchiudono la cultura dei destinatari è quindi fondamentale per valorizzare il messaggio.

Come si procede a localizzare una campagna di comunicazione di salute?

Prima di tutto avendo chiaro il messaggio, i destinatari e i canali che utilizza la campagna. Solo a quel punto si potrà iniziare a lavorare sui diversi elementi che caratterizzano i materiali:

  • Contenuti
  • Stilemi grafici
  • Immagini
  • Colori
  • Formati

Questo ragionamento è valido per qualsiasi materiale: in un opuscolo di patologia la scelta di inserire immagini che ritraggono pazienti e personale sanitario, le fotografie che riportano a certi setting come il domicilio o il centro clinico deve essere una fotografia della realtà del paese a cui si fa riferimento. La stessa regola viene applicata nell’uso di filtri per le fotografie o nella palette di colori che vengono scelti selezionando il loro significato in accordo con il messaggio e il brand.

Anche i contenuti devono essere pensati in chiave locale: realizzare una app che abbia come obiettivo quello di fornire una educazione al corretto stile alimentare non può non utilizzare indicazioni su cibi e alimenti coerenti con gli stili alimentari di un Paese.

E ancora preparare dei leaflet informativi da trasferire alla classe medica deve tenere conto di utilizzare stili grafici e icone familiari al contesto. Ogni singolo elemento impatta in maniera significativa sulla forza del messaggio finale.

Discorso analogo vale per i movimenti in termini di animazioni o la scelta di una determinata colonna sonora nella realizzazione di un teaser, dove ogni singolo elemento grafico è frutto di un profondo studio dei codici comunicativi di quel contesto.

E quando si lavora su campagne di storytelling dove la forza del messaggio dipende da quanto riusciamo a sentire vicini i protagonisti? Tutto dipende dalla regia, dalla scelta dei personaggi, dalla ricerca del giusto set perché ogni dettaglio concorre alla personificazione che è la chiave del successo di campagne di questo tipo.

Ma come si effettuano le scelte rispetto a tutti questi parametri?

Una volta stabilito il messaggio e scelti i deliverables una strategia consiste nell’organizzare focus group o momenti di incontro in cui i destinatari vengono coinvolti per capire insieme quali siano i loro linguaggi, i contenuti che ritengono chiave, le loro abitudini comunicative. Lavorando su strumenti online è imprescindibile una attività di etnografica digitale.

Dunque una approfondita conoscenza del target è la chiave per creare contenuti efficaci, di qualità, che rispondano alle esigenze comunicative del pubblico. Solo così una strategia multicountry si adatta perfettamente ai singoli paesi coinvolti.

Video teaser: come catturare l’attenzione in meno di un minuto

Video teaser

Tempo di lettura: 3 minuti

 

In un mondo sempre più affollato da informazioni accessibili e multicanale è fondamentale trovare la corretta maniera di veicolare i propri contenuti. Come riuscirci, in particolar modo quando si parla di salute?

Stabilendo una gerarchia del contenuto per raggiungere un obiettivo: il coinvolgimento del pubblico.

Quando si lavora sull’engagement per contenuti healthcare le logiche sono le stesse di qualsiasi altro settore, con un punto di attenzione: l’informazione deve essere chiara e verificata.  Analizziamo quindi uno strumento che coniuga la potenza dell’immagine e la velocità del messaggio: il video teaser.

Video e video teaser

Negli ultimi anni il video marketing è diventato uno strumento fondamentale per comunicare con il proprio pubblico: il 92% di tutti gli utenti di Internet in Italia guarda contenuti video online (WeAreSocial, 2020); questo accade sia perché gli utenti prediligono

A confermare ancora di più quanto il formato video sia popolare è un altro dato: 3 ore e 40 minuti – questo è il tempo medio giornaliero speso dagli italiani per guardare video sul web, dato che ha avuto un’importante crescita con la pandemia e che, ad oggi, non sembra arrestarsi.

Analizzando più nello specifico YouTube, tra le piattaforme più utilizzate per visualizzare video online, sono 2,2 milioni gli utenti attivi in Italia, di questi il 25,3% fruisce i contenuti attraverso mobile, il 74,7% via computer. La distinzione per genere vede una prevalenza di uomini tra gli utilizzatori della piattaforma, con il 58,6% di utenti. Andando invece a fare una distinzione per fascia di età, il 19,3% degli utenti ha tra i 18 e i 24 anni, il 34,8% tra i 25 e i 34 anni, il 16,7% tra i 35 e i 44 anni, l’11,5% tra i 45 e i 54 anni, il 9,4% tra i 55 e i 64 anni e il restante 8,3% è over 65.

Data la sua evidente popolarità, ad oggi il formato video è tra i più adottati dalle aziende, in qualsiasi settore, in particolar modo quando il tempo disponibile per coinvolgere e ingaggiare il proprio target è di pochi secondi. A perseguire perfettamente questo obiettivo sono i video teaser, ovvero brevi filmati, densi di azione, che condensano in un tempo limitatissimo pochi messaggi che invogliano il pubblico a cercare maggiori informazioni – il cuore del messaggio.

Il teaser diventa quindi il primo tassello di un piano di comunicazione molto più ampio: trattandosi infatti di una sorta di preview, è fondamentale pianificare una campagna di comunicazione che passo dopo passo sia in grado di fornire tutte le informazioni necessarie a un determinato prodotto o servizio per essere conosciuto. Come? Strutturando una campagna social, una pagina web, delle brochures che raggiungano i destinatari sui vari canali in cui si trovano a fare le loro ricerche e soprattutto a conversare.

Video teaser e mondo healthcare

Cosa succede quando il contenuto della campagna di comunicazione tratta di salute? Bisogna innanzitutto tenere presente che il settore è regolato in maniera piuttosto stringente, ma i meccanismi alla base delle scelte di comunicazione sono gli stessi. Ci si ritrova quindi a strutturare campagne rivolte ai pazienti, ai Clinici, ai caregiver che sono prima di tutto persone, le stesse che scelgono una determinata serie tv, un paio di scarpe, che mettono in atto criteri di selezione nella scelta dei prodotti e dei servizi di consumo come in quelli della salute.

Ed ecco come il video teaser può essere un valido tool per annunciare l’apertura di uno strutturato progetto di awareness su una patologia rara, può spiegare in 40 secondi le caratteristiche principali di un webinar destinato alla formazione della classe medica, può fornire le informazioni sulla modalità di gestione di un device rimandando a una pagina di approfondimento in un sito che è stato creato ad hoc, può ricordare che tra qualche settimana inizierà un ciclo di incontri per lo sharing experiences tra una comunità di pazienti, può far sapere che una certa Regione sta mettendo in campo una serie di misure sanitarie per il contenimento della emergenza sanitaria rimandando ad una sezione di approfondimenti in cui raccogliere tutte le informazioni.

La forza di questi video sta nella loro capacità di essere fruiti tanto sui social network quanto negli schermi di una sala d’attesa quindi ovunque e conseguentemente da chiunque.

Una volta identificato il target, la strategia di marketing e il piano editoriale, la sfida è dunque riuscire a produrre un video teaser che sia in grado di suscitare l’interesse necessario per far sì che, chi lo guarda, sia portato ad andare avanti, cercare informazioni aggiuntive e prendere parte, attivamente, all’iniziativa. E se questo è vero in generale, lo è ancora di più nel mondo healthcare, dove è sempre più fondamentale coinvolgere pazienti, Clinici e caregiver affinché diventino partecipativi e consapevoli.

 

https://www.oberlo.it/blog/statistiche-video-marketing

https://www.87seconds.com/c/en/video-teaser/

 

 

Health literacy: dal benessere della persona a quello della comunità

Health literacy

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L’emergenza sanitaria ha portato in evidenza il tema della alfabetizzazione sanitaria (health literacy), ma cosa significa veramente e quali sono gli effetti di questo fenomeno?

Health literacy, la consapevolezza nell’healthcare

Per health literacy, o alfabetizzazione sanitaria, si intende la capacità di comprensione e  utilizzo delle informazioni sanitarie oltre all’accesso ai servizi di salute effettuando scelte consapevoli.

La health literacy pertanto non fa riferimento alla sola capacità di comprendere i termini che riguardano la salute e che da sempre affollano opuscoli e foglietti informativi, ma soprattutto ad una strategia di empowerment che può indirizzare i cittadini all’accesso cosciente alle informazioni e ai servizi per poterne fruire nella maniera più efficace.

Il concetto parte da un assunto: il paziente riveste un ruolo attivo nella gestione della propria salute.

Infodemia: la sfida per una corretta alfabetizzazione sanitaria

Lo scenario della pandemia da Covid-19 che stiamo attraversando ha confermato che l’health literacy deve necessariamente diventare un investimento pubblico importante e strategico a livello individuale quanto collettivo.
La pandemia ci ha messi di fronte alla necessità di comprendere e rispondere in maniera appropriata e rapida alle indicazioni governative in materia di salute in un contesto caratterizzato dall’esposizione a una quantità eccessiva di informazioni in rapido aggiornamento e spesso in contraddizione tra loro.
L’eccesso di informazioni è stato definito dall’OMS “infodemia”: troppe notizie rendono difficile individuare fonti attendibili e indicazioni affidabili in momenti critici.

Come si può evitare di cadere nell’infodemia? Lavorando su linguaggi semplici e chiari, inclusivi e destinati a tutte le fasce della popolazione; un esempio molto interessante è Covid-19 Health Literacy Project che traduce in più di 40 lingue informazioni utili riguardanti la malattia per aiutare gli utenti a comprendere quando e come cercare e trovare assistenza.

Una finestra sull’Europa

Nel 2018 è stato sviluppato il primo network europeo per la misurazione dei livelli di health literacy: l’Action Network on Measuring Population and Organizzational Health Literacy (M-Pohl) che, attraverso indagini conoscitive e comparative, ha l’obiettivo di analizzare la qualità dell’alfabetizzazione sanitaria nella popolazione adulta dei diversi paesi dell’UE.

Nel 2017, uno studio condotto su diversi paesi dell’UE (inchiesta auto-valutativa) fornisce dei dati deludenti per l’Italia, collocata piuttosto in basso nella classifica dei paesi europei con i più alti livelli di health literacy: circa il 55% della popolazione italiana si attesta a dei livelli di alfabetizzazione sanitaria inadeguati.

Lo stesso studio indica che in nord Europa, in particolare in Olanda, si rilevano i migliori livelli di alfabetizzazione sanitaria, mentre in Spagna e Bulgaria si supera il 60% di analfabeti sanitari, poco più su in classifica Grecia e Polonia si attestano intorno al 44%.

L’esempio dei Paesi Bassi ci fa notare che unire i tentativi di empowerment sia degli individui che della comunità a una buona comunicazione nel settore sanitario porta a degli ottimi risultati in termini di crescita e miglioramento dell’health literacy e conseguentemente di gestione della salute.

Lavorare sulla health literacy significa dare vita a soluzioni concrete: messaggi di testo sul cellulare con i promemoria sull’assunzione del farmaco o sulle analisi da condurre, siti web interattivi per navigare la journey di malattia, glossari di malattia generati su canali social, stories instagram con sondaggi per valutare il grado di conoscenza di determinate tematiche, interazioni voice based basate sul machine learning – sono solo alcuni degli esempi che lavorano in queta direzione.

Sono ancora molti gli step per generare una health literacy diffusa in maniera capillare, ma i passi da gigante compiuti dal digitale e la sempre maggiore attenzione al patient experience design promettono il raggiungimento di risultati significativi.