GROWTH MINDSET: INTERVISTA A GIOELE ROMANO

Growth Mindset

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Il Growth Mindset è un modello di pensiero e di comportamento resiliente, flessibile e creativo. Un tipo di mentalità che se interiorizzata nelle aziende e organizzazioni può prepararci a cogliere a pieno la portata delle innovazioni contribuendo alla crescita in ottica S.M.A.R.T. Per mettere in pratica il Growth Mindset occorre che ciascuna persona, ciascuna risorsa, coltivi una mentalità basata su un mix di impegno, strategia e aiuto da parte degli altri. Ne abbiamo parlato con Gioele Romano, HR Transformation Manager, Learning & Development Experience Designer, Digital Culture & Mindset.  

Growth Mindset: quanto queste due parole sono importanti per la crescita di un’azienda?

Il Growth Mindset è fondamentale per la crescita di un’azienda perché favorisce l’approccio al cambiamento e alla sfida come opportunità di apprendimento e sviluppo. In questo modo, le persone sono più disposte ad affrontare le sfide e ad adattarsi alle nuove situazioni, migliorando la performance aziendale nel lungo termine.

Perché per diventare S.M.A.R.T. people e S.M.A.R.T. organization è necessario passare da un Fixed Mindset a un Growth Mindset?
Solo un approccio di apertura al cambiamento e all’apprendimento continuo consente di acquisire le competenze e le conoscenze necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati. Un Fixed Mindset, invece, limita le possibilità di crescita e sviluppo individuale e aziendale.

Tramite quali strategie è possibile cambiare Mindset?

Esistono diverse strategie per cambiare Mindset, tra cui la pratica dell’auto-riflessione e dell’auto-osservazione per identificare i propri limiti e le proprie convinzioni limitanti, l’apertura al feedback e alla sperimentazione per acquisire nuove conoscenze e competenze, la costruzione di una cultura aziendale che favorisca il Growth Mindset, e infine l’adesione a programmi di formazione e sviluppo personale per acquisire nuove abilità e competenze.

 

 

S.M.A.R.T. WORKING: INTERVISTA AD ALESSANDRO RIMASSA

Unmet needs

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Come sta cambiando l’esperienza di lavoro? Che ruolo hanno gli uffici? Come gestire al meglio l’organizzazione e le relazioni? Cosa può fare ognuno di noi? Ne abbiamo parlato con Alessandro Rimassa, imprenditore con una grande esperienza su education, future of work e digital transformation. Ha fondato Radical HR, la prima edtech italiana verticale sul mondo HR, e prima Talent Garden Innovation School, business school leader sui temi del digitale e dell’innovazione, punto di riferimento per studenti e aziende.

Che cos’è il lavoro S.M.A.R.T.?

Il lavoro S.M.A.R.T. (Smart, Measurable, Achievable, Relevant, Time-bound) è un approccio al lavoro che si concentra sulla flessibilità, l’efficienza e la produttività. Il lavoro S.M.A.R.T. si concentra sulle attività da svolgere e sugli obiettivi da raggiungere, piuttosto che sull’orario e sul luogo di lavoro.
È caratterizzato dalla possibilità di lavorare da remoto o di avere orari di lavoro flessibili, ma è solamente una possibilità. Una persona potrebbe lavorare in S.M.A.R.T. working andando tutti i giorni in ufficio, le fondamenta rimangono le attività e gli obiettivi.

Lo S.M.A.R.T. working può essere oggetto di misurazione?
Sì, in particolare, i risultati produttivi possono essere misurati in base agli obiettivi prefissati, ai tempi di consegna e alla qualità del lavoro svolto. Inoltre, possono essere utilizzati strumenti come il performance management, l’analisi dei dati e i feedback per valutare l’efficacia del lavoro S.M.A.R.T.

La progettazione di un nuovo “patto del lavoro” può consentire alle persone di costruire il loro personale life balance creando il connubio felicità-produttività. È questa la chiave per fidelizzare le risorse e attrarre nuovi talenti?

Sì, la progettazione di un nuovo “patto del lavoro” che consenta alle persone di creare il proprio life balance è una chiave importante per attrarre nuovi talenti, attraction, e fidelizzare le risorse interne, continuo attraction. Le persone sono sempre più alla ricerca di un equilibrio tra vita privata e lavoro e sono disposte a lavorare in un’azienda che offra questa opportunità. Inoltre, uno stile di lavoro più flessibile e personalizzato può aumentare la soddisfazione delle proprie risorse e la loro produttività, portando così ad un connubio felicità-produttività.

Modernizzare la relazione tra impresa e leadership significa costruire fiducia reciproca e trasparenza nella comunicazione. Quali sono i risvolti di questo approccio?

La modernizzazione della relazione tra impresa e leadership attraverso la costruzione di fiducia reciproca e trasparenza nella comunicazione può avere diversi risvolti positivi. In primo luogo, la fiducia reciproca può aumentare la motivazione e la soddisfazione delle proprie persone, poiché si sentono più coinvolti e apprezzati all’interno dell’organizzazione. Inoltre, la trasparenza nella comunicazione può ridurre la disinformazione e la diffusione di voci all’interno dell’organizzazione, migliorando così l’efficienza e la produttività. Infine, la modernizzazione della relazione tra impresa e leadership può anche portare a una migliore gestione del cambiamento e ad una maggiore capacità di adattamento alle nuove sfide del mercato.

 

PATIENT EXPERIENCE DESIGN: INTERVISTA AL PROFESSOR PIERGIORGIO DEGLI ESPOSTI

Patient experience design_intervista al Sociologo Piergiorgio Degli Esposti

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Costruire soluzioni che tengano conto delle unicità dei pazienti e delle loro esigenze, che sappiano cogliere le peculiarità di ogni needs per tradurlo in soluzioni di valore. In tre parole: patient experience design. Ne abbiamo parlato con Piergiorgio Degli Esposti, PhD in Sociologia e Politiche Sociali, professore associato presso il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia SDE dell’Università di Bologna.

Il nuovo approccio al paziente tende sempre di più a considerarlo come un prosumer con le sue scelte e le sue varie aree di interesse indipendentemente dalla patologia. Che riflesso ha questo aspetto sulla ricerca?

Nell’era del patient empowerment, che fornisce alle persone gli strumenti per prendere decisioni migliori per il loro benessere, si sono moltiplicate le soluzioni alternative alla cura di una patologia spostando il focus dell’attenzione scientifica sempre più nella direzione del prosumer (produttore/consumatore). La ricerca sociologica nello specifico ormai da anni utilizza questo nuovo criterio di analisi per comprendere la complessità dei fenomeni e delle dinamiche sociali. Il prosumer è un utente informato (conosce il prodotto), critico (confronta, valuta e ragiona prima dell’acquisto), esigente, originale (cerca di rendere unico il prodotto di massa) e partecipativo (contribuisce alla creazione del prodotto). In questa nuova veste maggiormente informata e attiva nel proprio processo di cura, il prosumer compie scelte più responsabili in merito alla propria salute diventando un consumatore delle informazioni promosse dai brand su servizi e prodotti. I processi decisionali del prosumer si creano principalmente attraverso la consultazione dei canali social e per mezzo della tecnologia grazie alla reperibilità di informazioni on demand, la disponibilità continua delle fonti e la semplicità di accesso. Per tale motivo, diventa sempre più necessario lo sviluppo di modelli e progettualità basati sia sull’osservazione dei bisogni delle persone sia sul coinvolgimento della tecnologia.

Per disegnare progetti su misura dei pazienti, che sono prima di tutto persone, occorre dunque anzitutto analizzare i loro bisogni. Quali sono le principali tecniche di analisi per lavorare efficacemente in questa direzione?

Fare ricerca con le persone rappresenta sempre una sfida coinvolgente ed estremamente complicata. La possibilità di cucire settorialmente su pazienti servizi efficaci passa in primo luogo attraverso la comprensione delle loro soggettività, le loro paure, le loro problematiche specifiche; in modo tale da poter offrire servizi che appunto comprendano la loro complessità ed unicità. Pensare il paziente prima di tutto come una persona è il primo ed essenziale elemento da prendere in considerazione per cogliere la complessità dei loro bisogni; per farlo, prima di tutto è necessario riscoprire la capacità di ascolto e di interazione con l’altro, in maniera sincera ed empatica. In un’epoca come la nostra il massimo del valore si ritrova nel dialogo, nella comprensione, nell’ascolto e nel coinvolgimento. Pertanto gli strumenti come l’intervista in profondità, il focus group o il word cafè, solo per citarne alcuni, sono indubbiamente i migliori per cucire sartorialmente il miglior servizio possibile.

Patient experience design: quanto valore genera l’analisi qualitativa dei bisogni rispetto alla creazione di servizi healthcare?

La nostra realtà è colma di informazioni quantitative di ogni genere, al punto che un fenomeno pare avere significato soltanto se quantificabile numericamente. Questo tipo di approccio, che oggi vede la sua massima rappresentazione nei cosiddetti Big Data, o impronte digitali che lasciamo tutti nelle nostre interazioni tra realtà fisica e spazi digitali tende però a fornire una visione ultra specifica ma poco profonda (si chiamano appunto big e non deep) dei fenomeni. L’utilizzo di strumenti di analisi qualitativa, come appunto la PED, sono in grado di restituire un enorme valore nella ricerca. Grazie appunto alla profondità delle informazioni raccolte e la comprensione delle motivazioni che sostengono i bisogni degli utenti è possibile costruire sofisticati servizi healthcare, che tengano in considerazione la complessità e le sensibilità di coloro che poi ne saranno i fruitori.

 

Intervista al Professor Dionisi Vici sull’importanza del supporto nelle malattie metaboliche

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Intorno alle malattie metaboliche ereditarie si sviluppano competenze trasversali che uniscono i professionisti sanitari coinvolgendo provider di servizi, associazioni di pazienti e pharma.

Tutti questi stakeholders saranno protagonisti del XII Congresso Nazionale SIMMESN (Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale) che si terrà a Bari il 9-10-11 novembre 2022. Ne abbiamo parlato con il Professor Carlo Dionisi-Vici, Responsabile U.O.C. di Malattie Metaboliche, Dipartimento di Pediatrica Specialistica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Cosa rappresenta SIMMESN?

Ogni anno, in occasione del Congresso, noi operatori medici abbiamo la consuetudine di scambiarci informazioni e novità sulla cura e la diagnosi delle malattie metaboliche. Ciò che sta sempre di più emergendo è l’opportunità di considerare nuovi modelli organizzativi che possano per esempio riguardare l’impiego di provider healthcare che supportino le attività diagnostiche e di screening inerenti i pazienti affetti da malattie metaboliche organizzando percorsi che possano mettere in comunicazione Centri periferici e Centri di riferimento per ottimizzare la qualità dei servizi.

Ascoltare i bisogni dei pazienti è fondamentale per ridurre il loro burden of disease, ancora di più quando si tratta di malattie rare. Cosa significa, nella sua esperienza, prendere in carico persone con patologie metaboliche e bisogni assistenziali complessi?

Per un medico, avere di fronte un paziente con una malattia metabolica e bisogni assistenziali complessi non è solo un atto di responsabilità professionale: l’intero percorso di un malato con una malattia rara metabolica è molto complesso e difficile per cui è prioritaria la necessità di condividere l’impatto emotivo e, soprattutto quando si tratta di bambini, con la famiglia con cui si viene a stabilire quella che viene definita l’alleanza terapeutica nel momento della comunicazione della diagnosi. Fatta questa premessa, un Centro di malattie metaboliche ha assolutamente bisogno, per prendere in carico bisogni assistenziali complessi, di un team multidisciplinare che non si limiti a offrire un percorso strettamente sanitario e che valorizzi la comunicazione come momento di condivisione tra medico e paziente.

Quanto è importante, nell’ambito di una patologia metabolica, offrire al paziente un programma di supporto che garantisca il monitoraggio costante, magari eseguito a domicilio?

A mio avviso c’è ancora molta strada da fare, ma in questi anni è stato tracciato un solco attraverso l’offerta della domiciliazione delle terapie che consentono ai pazienti di non rivolgersi più alla struttura ospedaliera per eseguire, per esempio, cicli di trattamento che prevedono la somministrazione endovenosa di farmaci per ore, con tutto il disagio e il dispendio di tempo che comporta. Inoltre, laddove c’è la possibilità di eseguire le terapie o il monitoraggio a domicilio, avvalendosi di piattaforme di telemedicina, si evita al paziente lo spostamento verso la struttura ospedaliera.

Ritiene che stabilire una partnership con un provider di servizi in ambito healthcare possa agevolare i Centri Clinici nella gestione, più semplice ed efficace, delle attività di screening, referral e follow up dei pazienti?

Certamente: gestire un service diagnostico o di screening attraverso un provider di servizi consente di ottimizzare, semplificare e velocizzare il processo organizzativo. Il provider può infatti farsi carico sia dell’aspetto logistico, legato all’esecuzione di esami di laboratorio complessi che prevedono il prelievo, l’invio o la conservazione del campione prelevato, sia dell’aspetto comunicativo e di intermediazione svolto con i Centri periferici e con il territorio.

Quanto conta il supporto fornito ai Centri Clinici per gestire in maniera ottimale lo screening di una patologia metabolica per arrivare nel minor tempo possibile alla diagnosi e al tempestivo inizio della terapia?

Oggi, sempre di più si parla di screening nel campo delle malattie metaboliche, occorre però differenziare lo screening neonatale di popolazione, che consente di diagnosticare e curare la malattia sin dalle prime settimane di vita, dallo screening orientato, cioè quello basato su uno o più sintomi, che indirizzano verso la diagnosi. Entrambe le modalità di screening riducono i tempi dell’odissea diagnostica e consentono di avere una diagnosi precoce, di avviare tempestivamente le cure migliorando la prognosi. Il paradigma, dunque, che si può applicare a tutta la medicina è quello che include diagnosi precoce, inizio rapido della terapia, prognosi migliore. Non dimentichiamo poi che la diagnosi precoce, anche in una malattia non curabile rappresenta un valore aggiunto perché permette di accedere a un counseling genetico volto a far comprendere le conseguenze di una diagnosi di malattia genetica

Intervista al Professor Dionisi Vici sull’importanza dello screening nelle malattie rare

Patient Access

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Nell’ambito delle malattie rare come l’alfa mannosidosi ci sono delle novità: lo sviluppo di un test che può essere effettuato sulle urine del paziente potenziale, altamente efficace per lo screening della malattia.

Abbiamo chiesto qualcosa di più al Professor Carlo Dionisi-Vici, Responsabile U.O.C. di Patologia Metabolica, Dipartimento di Medicina Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, con cui abbiamo dato vita, anche grazie al supporto di Chiesi Global Rare Diseases, al servizio alpha lab per lo screening delle oligosaccaridosi.

L’importanza di una diagnosi tempestiva è fondamentale nella gestione di qualunque patologia, ancor di più quando parliamo di Malattie Rare. Ci può descrivere la nuova metodica sviluppata dal Laboratorio dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù per lo screening dell’Alfa Mannosidosi e i suoi benefici? 

Si tratta di un metodo tecnologicamente molto avanzato, basato sulla cromatografia liquida ad alta risoluzione e spettrometria di massa tandem (UHPLC-MS/MS), che permette l’analisi multipla dei biomarcatori di numerose malattie metaboliche. In soli 30 minuti è possibile effettuare lo screening delle oligosaccaridosi (sialidosi, α-/β-mannosidosi, fucosidosi, aspartilglucosaminuria). L’esame è effettuabile sia su urine fresche, conservate a bassa temperatura, sia su urine spottate su uno speciale cartoncino (DUS), rendendo in questo modo più agevole l’invio dei campioni al Laboratorio. Lo screening viene effettuato ricercando sulle urine la presenza di alcune categorie di zuccheri, i cosiddetti oligosaccaridi, che vanno a costituire il profilo specifico e caratteristico, che di fatto corrisponde all’impronta digitale, di una determinata malattia. Attraverso l’utilizzo di standard interni di riferimento si ottiene un’analisi semiquantitativa nella quale le concentrazioni dei vari oligosaccaridi sono espresse con l’unità di misura dei MoM (multipli delle mediane). Grazie a questo metodo rapido e che non richiede complesse procedure per la preparazione dei campioni di urine, è possibile in maniera tempestiva indirizzare il clinico verso la diagnosi di una serie di rare malattie metaboliche, alcune delle quali oggi curabili, come per esempio l’alfa mannosidosi, nelle quali il ritardo diagnostico può certamente contribuire a peggiorarne la prognosi.

Ritiene che supportare i Centri Clinici con un sistema che consenta di gestire in modo semplice ed efficace la disponibilità dei materiali per effettuare questo esame possa contribuire una più rapida diagnosi di questa patologia?

Agevolare lo screening per questa malattia è di fondamentale importanza per arrivare nel minor tempo possibile alla diagnosi e al tempestivo inizio della terapia. Dal punto di vista clinico, i sintomi di questa malattia sono molteplici, variano con l’età dei pazienti e sono comuni ad altre malattie lisosomiali, come ad esempio le mucopolisaccaridosi, per cui è molto utile la possibilità di disporre di un rapido test di laboratorio che faciliti la diagnosi differenziale.

 

Intervista a Clelia Bincoletto, Information Security Manager di HNP

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Nel settore healthcare la cyber security riveste un ruolo di primo piano. La sicurezza delle informazioni è un aspetto a cui tutti i provider devono prestare attenzione. Clelia Bincoletto, la nostra Information Security Manager ci spiega meglio alcuni aspetti legati a questo tema. 

Che cosa si intende per information security risk assessment?

L’information security risk assessment è un processo che consente a un’organizzazione di identificare vulnerabilità e minacce che insistono sul proprio patrimonio informativo e decidere quali contromisure adottare per affrontarle efficacemente. Questa valutazione è una delle attività fondamentali per la creazione e il mantenimento di un sistema di gestione della sicurezza delle informazioni (ISMS).

Un processo di gestione del rischio dovrebbe essere ripetibile, misurabile e verificabile. In tal senso, sono stati sviluppati diversi standard di risk assessment, tra cui quello oggetto della linea guida ISO/IEC 27005.

Una valutazione del rischio sulla sicurezza delle informazioni si compone di norma di tre macro-fasi:

  1. Identificazione e valutazione delle risorse, per inventariare le informazioni di proprietà o nella disponibilità aziendale (anche presso terze parti) e associarne un valore in termini finanziari, reputazionali e strategici;
  2. Identificazione e valutazione dei rischi, per individuare le minacce che potrebbero sfruttare le vulnerabilità legate alle risorse e attibuirne un valore di impatto, che dipende dalla criticità delle risorse in esame e dall’efficacia dei controlli già implementati dall’organizzazione all’atto della valutazione;
  3. Gestione dei rischi, per determinare quali iniziative intraprendere nell’ottica di gestire in modo appropriato i rischi considerati non accettabili dall’organizzazione.

 

Perché un’azienda nel settore healthcare deve riporre particolare attenzione agli aspetti legati alla Information security?

L’healthcare è un settore particolarmente vulnerabile perché tratta informazioni ad alto valore strategico ed economico, come i dati di natura sanitaria dei pazienti e di proprietà intellettuale relativi alla ricerca sanitaria e all’innovazione in campo medico.

Secondo l’agenzia Experian, infatti, a seconda della completezza del dato, un singolo record sanitario può essere quotato anche mille dollari sul mercato del dark web. Tali informazioni sensibili possono essere infatti sufficienti per ottenere prescrizioni o trattamenti medici tramite un furto di identità, o consentire lo sfruttamento del know-how o di altre informazioni confidenziali da parte di aziende concorrenti.


In che cosa consiste un audit di cybersecurity?

Un audit di cybersecurity è una valutazione sistematica e misurabile della conformità di un’organizzazione rispetto ad una normativa di riferimento in ambito di sicurezza informatica e delle informazioni, come ad esempio la ISO/IEC 27001.

In altre parole, si verifica che l’organizzazione abbia adottato e gestisca in modo continuo adeguati controlli (ovvero, contromisure) per contrastare i rischi legati alla cybersecurity, così come indicati nelle best-practice dei framework del settore (NIST, ISO, CIS, PCI DSS).

Questa tipologia di verifiche ispettive è compresa nel percorso di certificazione (e mantenimento della stessa) di un ente rispetto a uno standard di cybersecurity: ad esempio, lo standard ISO 27001 prevede che queste verifiche vengano effettuate periodicamente per controllare che l’ente abbia definito un impianto documentale che contenga procedure e prescrizioni per assicurare la sicurezza delle informazioni e che, soprattutto, queste regole siano seguite e monitorate.

L’audit, soprattutto se eseguito da un soggetto esterno con una visione oggettiva sulla realtà aziendale, permette di evidenziare aree di miglioramento anche sconosciute all’organizzazione.

Che cosa sta facendo HNP in tal senso?

HNP è un’azienda attenta e proattiva rispetto ai temi di sicurezza informatica e delle informazioni. Dal 2020 i suoi processi di ideazione, progettazione ed erogazione di servizi di supporto ai pazienti e ai centri clinici sono certificati  ISO/IEC 27001.

Dal 2019, in aggiunta alle verifiche ispettive di monitoraggio della certificazione, si sottopone annualmente a un audit di cybersecurity indipendente denominato Cybervadis, che verifica l’applicazione dei controlli contenuti in tutti i principali standard di conformità internazionali, tra cui NIST, ISO 27001, GDPR e molte altre leggi internazionali sulla privacy e sulla sicurezza informatica.

A gennaio 2022 ha ottenuto un punteggio di 966 su 1000, con eccellenze sui controlli relativi alla gestione della data privacy, data protection e business continuity.

Intervista a Sonia Selletti, Avvocata presso lo Studio Legale Astolfi

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Patient Support Program e quadro normativo italiano: quali norme li regolano? Quali sono gli aspetti da tenere in considerazione e come tutelare i dati personali dei pazienti? Ce ne parla Sonia Selletti, Avvocata presso lo Studio Legale Astolfi.

A livello normativo, come vengono inquadrati i PSP in Italia?

Nonostante la rapida diffusione in tutto il territorio nazionale, anche a seguito dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia, i Patient Support Program (PSP) non trovano una definizione e un inquadramento giuridico puntuale nelle norme di legge vigenti.

Rappresenta, quindi, un prezioso approdo l’inquadramento dei PSP contenuto nel Codice Etico di Farmindustria, che seppur vincolante per le sole aziende farmaceutiche associate, costituisce comunque un importante strumento interpretativo (come riferimento di best practice) per le fattispecie non espressamente disciplinate dalla legge.

In particolare, l’art. 4.7 del Codice citato precisa che il PSP è un programma di assistenza sanitaria realizzato a beneficio del paziente in trattamento con un farmaco già autorizzato all’immissione in commercio da parte dell’azienda farmaceutica.

Da tale definizione derivano due importanti “scelte di campo” che indirizzano, da un lato, a programmi che prevedono l’impiego di medicinali già muniti di AIC per favorire la vocazione assistenziale a beneficio del paziente evitando che possano trovare spazio iniziative con finalità di c.d. pre-marketing (intese cioè a preparare il futuro accesso al mercato dei medicinali) e, dall’altro lato, a programmi applicabili a pazienti già in trattamento con il medicinale ad evitare che vi possano essere forme di promozione del farmaco al paziente o al più scivoloso terreno dell’induzione alla prescrizione da parte del sanitario.

Tali scelte, seppure attestate su un livello di rigore rappresentano evidentemente una forma di chiarezza per l’impresa per orientare le proprie decisioni con un adeguato livello di certezza.

La norma in esame entra anche in un maggiore dettaglio della operatività di un PSP prevedendo che debba essere garantita la gestione della farmacovigilanza, della privacy e degli aspetti giuslavoristici (al riguardo, è chiarito che non è possibile la somministrazione di manodopera), nonché la responsabilità per la compliance e per la gestione dei materiali. Tali profili dovranno, pertanto, essere di volta in volta affrontati, tenendo in considerazione la normativa vigente e applicabile ai diversi temi che vengono in rilievo.

In aggiunta a quanto previsto dal Codice deontologico, Farmindustria ha reso altresì disponibile un documento di Domande & Risposte (soggetto a periodici aggiornamenti), che fornisce ulteriori spunti utili per avviare programmi di supporto al paziente.

Dal punto di vista legale, quali sono gli aspetti più rilevanti a cui prestare attenzione quando si progetta un nuovo PSP?

In assenza di una regolamentazione puntuale dei PSP e considerate le peculiarità di ciascuna iniziativa non si può prescindere da una valutazione accurata da farsi caso per caso. Ad esempio, gli elementi da considerare in PSP che tendono alla formazione e addestramento del paziente o del caregiver, sono assai diversi rispetto a quelli che risaltano nei casi di consegna e/o di infusione domiciliare di medicinale.

Tuttavia, si può anzitutto osservare che le aziende che intendono approcciarsi a queste iniziative dovrebbero dotarsi di procedure interne dedicate per delineare i flussi e le fasi di valutazione e approvazione, avendo a mente il principio per cui “la funzione aziendale che ha la responsabilità decisionale del PSP non deve essere commerciale e opererà sotto la supervisione della funzione compliance dell’azienda”.

Tra gli elementi di spicco vi è poi il razionale del progetto, dal quale deve emergere il fondamento logico e scientifico del progetto stesso e che rappresenta, a mio avviso, un cardine anche rispetto a temi di compliance. Al razionale si accompagna la valutazione obiettiva delle finalità del programma rispetto ad alcuni elementi quali ad esempio: la pertinenza alla terapia, la congruità della prestazione resa, la proporzione della prestazione rispetto all’impatto della terapia e alla sua durata. Si tratta evidentemente di elementi che rafforzano la corretta qualificazione del programma nell’ambito dell’assistenza sanitaria a beneficio del paziente che è il solco inciso a livello etico e deontologico al di fuori del quale si rischia di sconfinare in terreni che potrebbero essere egualmente percorribili, ma applicando regole diverse. Si pensi, ad esempio, al tema dell’acquisizione di dati attraverso un PSP, che è ammissibile nei limiti in cui abbia una valenza di verifica del gradimento e dell’efficacia (anche scientifica) dell’iniziativa, mentre incontrerebbe delicatezze qualora sconfinasse nell’ambito di uno studio che richiederebbe notoriamente l’applicazione di norme specifiche.

Non meno importante è la definizione dei ruoli dei diversi soggetti coinvolti nei PSP attraverso la sottoscrizione di appositi contratti che delineino le competenze, gli adempimenti e le connesse responsabilità di ciascuno.

Dovranno poi essere attentamente soppesati i contenuti dei materiali divulgativi del progetto per escludere che possano “travisare” le finalità perseguire e creare malintesi su aspetti promozionali o di induzione alla prescrizione dei medicinali (l’assenza di intento promozionale deve essere “bi-direzionale”, ossia non solo nei confronti del paziente, ma anche degli operatori sanitari coinvolti).

Altro profilo che può meritare una riflessione è la corretta qualificazione giuridica dei software, che eventualmente vengono utilizzati nell’ambito di un PSP, verificando, in particolare, se rientrino o meno nella definizione di dispositivo medico. Al riguardo, occorre tenere conto delle disposizioni del Regolamento 2017/745/UE (cd. MDR), in tema di dispositivi medici, applicabili a partire dal 26 maggio 2021, che ampliano il novero di prodotti – tra cui appunto i software (cd. SaMD) – classificabili come “accessori di dispositivi medici”, con conseguente applicazione del MDR.

Infine, tenuto conto che talvolta i PSP prevedono lo svolgimento di prestazioni sanitarie a domicilio, non possiamo non ricordare la recente innovazione legislativa di cui all’art. 1, co 406, lett. a), l. 178/2020, che subordina ad autorizzazione sanitaria l’“erogazione di cure domiciliari”. La fase di attuazione di tale disposizione è stata avviata dall’intesa Conferenza Stato-Regioni il 4 agosto 2021, che assegna alle Regioni/Provincie Autonome un termine di 12 mesi per il completamento/adeguamento della disciplina a livello locale. Al momento, non è agevole prevedere se e come tale norma possa incidere sull’organizzazione e gestione di un PSP, ma è auspicabile che maggiori chiarimenti possano derivare proprio dai provvedimenti attuativi sopra richiamati.

È possibile raccogliere i dati che provengono dalle attività del PSP?

Riguardo al tema della raccolta dei dati si esprime il già ricordato art. 4.7 Codice deontologico di Farmindustria secondo cui “i dati raccolti nel PSP devono essere utilizzati solo per finalità di supporto ai pazienti. L’eventuale uso per altri scopi deve essere separatamente contrattualizzato, nel rispetto della normativa vigente”. Per “dati raccolti nel PSP”, specifica Farmindustria, si intendono anche eventuali survey relative al gradimento del servizio, che secondo il percorso prospettato dall’Associazione andrebbero somministrate direttamente dalla società di servizi o da un suo incaricato, previa adeguata informativa al paziente in relazione al fatto che tali dati, in forma aggregata e anonima, saranno comunicati all’azienda che supporta economicamente il PSP.

Pertanto, assumendo che la raccolta di dati nell’ambito di un PSP si inquadri nelle finalità di assistenza sanitaria a beneficio del paziente, non si può escludere affatto la possibilità di un diverso impiego di tali dati, purché sia delineato un percorso coerente lungo un impianto – anche contrattuale – che individui chiaramente gli scopi, le modalità di acquisizione e di utilizzo degli stessi, nel rispetto della normativa vigente (ciò anche per quanto concerne l’eventuale pubblicazione).

In proposito, assume particolare rilievo il tema del trattamento dei dati personali, essendo essenziale determinare i “ruoli” dei diversi soggetti coinvolti. Ciò comporta la necessità di una contrattualizzazione anche dal punto di vista della tutela dei dati personali: dovrà essere valutato il ruolo di ogni soggetto che prende parte al trattamento dei dati personali nell’ambito del PSP per individuare correttamente il titolare del trattamento (ed eventualmente il ruolo di contitolare), chi debba essere nominato responsabile del trattamento, se vi siano soggetti autorizzati al trattamento ed eventuali destinatari terzi.

Un altro aspetto rilevante è l’individuazione della base giuridica per il trattamento dei dati personali (ossia l’individuazione della condizione che legittima il trattamento). A tal fine, sovviene il provvedimento del Garante privacy del 7 marzo 2019, secondo cui solo i trattamenti di dati personali necessari al perseguimento delle finalità determinate ed esplicitamente connesse alla cura della salute possono essere effettuati in assenza del consenso dell’interessato e ricondotti alla base giuridica “per finalità di cura” di cui all’art. 9, par. 2, lett. h), del GDPR (Reg. UE 2016/679). Diversamente, ogniqualvolta il trattamento riguardi, solo in senso lato, la cura, ma non sia ad essa strettamente necessario (come nel caso dei PSP) occorre individuare una distinta base giuridica, quale, eventualmente, il consenso dell’interessato.

 

 

Intervista a Valeria Quintily, Project & Scientific Manager di LS Academy

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Diffondere know-how e accrescere conoscenze scientifiche a tutti i livelli: è questa la mission di LS Academy. Ne parliamo con Valeria Quintily, Project & Scientific Manager, che sottolinea l’importanza dei PSP nei corsi di formazione.

La vostra mission è quella di contribuire a diffondere il know-how e accrescere le conoscenze scientifiche a tutti i livelli, come si inserisce la formazione PSP – specific in questo quadro?

LS Academy organizza corsi di formazione tecnico-scientifici per i professionisti del settore farmaceutico, dei dispositivi medici e/o dei prodotti medici correlati che operano nell’industria, nelle CROs, nel settore sanitario e della ricerca clinica.

Il profilo professionale a cui si rivolge si occupa di ricerca e sviluppo, produzione e commercializzazione di farmaci e dispositivi medici.

I Patient Support Program costituiscono un insieme di servizi rivolti ai pazienti e finalizzati a supportarli nella gestione della patologia e della relativa terapia, incrementando l’aderenza ai percorsi assistenziali, in definitiva migliorando la cura e la qualità di vita dei pazienti. Conoscerli e capire come mettere in pratica PSP efficaci costituisce quindi un arricchimento delle competenze professionali con ricadute positive per i pazienti pur rimanendo nell’ambito di sviluppo del business. Ecco perché rientrano nel nostro calendario formativo.

Unmet needs, patient journey, stakeholder maps, questi concetti chiave che riguardano i PSP possono considerarsi consolidati o rappresentano ancora una novità per i vostri clienti?

I PSP esistono da più di un decennio, ma negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza del ruolo sempre più strategico che i PSP rivestono all’interno del modello di business dell’industria pharma e medical device. In concreto, stanno entrando a far parte dei nuovi modelli assistenziali in grado di garantire la sostenibilità del sistema sanitario.

Pur conoscendone l’esistenza e l’importanza, ci accorgiamo che c’è ancora molto spazio per parlare di PSP ai nostri clienti, in termini di strategia, di figure professionali interessate e soprattutto di quali azioni intraprendere, quali evitare e come mettere in pratica un PSP perché possa conseguire i risultati prefissati

Quali sono le regole per offrire una formazione di qualità in un settore complesso come quello della salute?

La regola principale a cui LS Academy si ispira è che il docente sia un esperto nello specifico ambito di formazione. La nostra proposta formativa non si basa sulla trasmissione di informazioni, ma è condivisione di esperienze personali pratiche, portate avanti in prima persona dall’esperto.

I nostri docenti non sono formatori di mestiere, hanno radici consolidate nel lavoro in ambito scientifico che poi vengono estese alla formazione.

Per garantire la qualità del servizio, oltre alla selezione del docente è fondamentale anche tutta la parte organizzativa che viene svolta dal nostro team, puntuale, preciso e attento alle esigenze del cliente.

Intervista a Carlotta Galeone, biostatistica e real world consultant

real world evidence

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L’utilità dell’impiego dei Real World Data nell’healthcare e il ruolo dei PSP: approfondiamo questi argomenti con Carlotta Galeone, Biostatistica e Real World Consultant, che ha risposto alle nostre domande.

Si parla spesso di Real World Data e dell’utilità del loro impiego, ma dalla sua esperienza quali sono i benefici effettivi di avviare progetti basati su tale approccio?

Le evidenze provenienti dalla pratica clinica (la così detta Real World) sono fondamentali poiché testano come un trattamento approvato sulla base di evidenze solide (provenienti spesso da studi clinici randomizzati) su pazienti selezionati e in setting molto controllati, sia efficace su popolazioni più ampie e non selezionate. Non sempre i risultati positivi di un trattamento osservati nella fase sperimentale vengono facilmente traslati nella RW.

Quali sono le problematiche che ha trovato maggiormente nell’ambito di progetti basati su dati di RW?

La prima problematica che maggiormente si trova in questo ambito di ricerca è la non pianificazione dei progetti, soprattutto quando i dati sono già disponibili (studi retrospettivi). Partendo da un obiettivo di ricerca è fondamentale valutare se le fonti di dati RW a disposizione sono idonee a rispondere al quesito. Se così fosse, l’applicazione di metodi statistici avanzati (come i modelli multivariati) porteranno a conclusioni solide.

La seconda problematica è l’accesso al dato ma con una buona pianificazione dello studio e la stesura di un protocollo questo aspetto è spesso superabile, soprattutto per gli studi prospettici.

A suo avviso i PSP generano dati di RW che potrebbero generare valore qualora fossero pubblicati?

All’interno di un PSP ben strutturato e pianificato è possibile, anzi auspicabile, raccogliere dati per descrivere le popolazioni di pazienti nella RW. Più ambizioso, ma molto interessante, è testare delle ipotesi sull’efficacia di alcuni tipi di PSP su vari aspetti del paziente come il miglioramento di outcome clinici o della qualità della vita. Si può anche pianificare di misurare l’impatto organizzativo del PSP sia a livello micro del singolo paziente che a livello macro sul Sistema Sanitario. L’importante è pianificare bene tutte queste attività e analizzare i dati con i metodi statistici propri della RW.