Sicurezza delle informazioni, HNP ottiene la certificazione integrata tra ISO 9001 e ISO/IEC 27001

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Proteggere l’integrità, la riservatezza e la disponibilità dei dati nonché garantire la continuità dell’attività aziendale per un’organizzazione che opera in ambito helthcare è di vitale importanza.

Per questo HNP è orgogliosa del traguardo raggiunto con l’ottenimento della certificazione integrata tra ISO 9001 e ISO/IEC 27001.

Da anni Healthcare Network Partners lavora per garantire un sistema di gestione completo e di qualità capace di assicurare servizi efficaci nella sicurezza della privacy di utenti e operatori. Già nel 2012, infatti, l’azienda ha ottenuto la certificazione ISO 9001, standard internazionale che delinea i requisiti per la realizzazione di un sistema di gestione della qualità, al fine di condurre i processi aziendali, migliorare l’efficacia e l’efficienza nell’erogazione del servizio, incrementando la soddisfazione del cliente. Questa normativa rispecchia la volontà di un’organizzazione di certificarsi per rispondere a un’esigenza di miglioramento continuo puntando su obiettivi di ottimizzazione della struttura.

Per creare un vero e proprio sistema di gestione integrato, nel 2020 HNP ha deciso di prendere un’ulteriore certificazione: la ISO/IEC 27001 grazie al lavoro congiunto del Chief Information Officer Lorenzo Dina, dell’Information Security Manager Salvatore D’Emilio assieme alla funzione preposta alla qualità e al supporto Compliance nella figura di Roberta Carbone .

La ISO/IEC 27001 è uno standard internazionale che definisce i requisiti di un sistema di sicurezza delle informazioni e include aspetti relativi alla sicurezza logica, fisica e organizzativa.

Con lo scopo di proteggere tutti i dati da eventuali minacce e rischi, da virus informatici, dalla distruzione e dal furto, da accessi non autorizzati, nonché dall’interruzione delle attività, HNP ha deciso di unire le best practice della norma ISO/IEC 27001 alla struttura aziendale già consolidata nel rispetto dei principi del GDPR.

Uno degli elementi di integrità garantito da questa certificazione si è rivelato di fondamentale importanza durante questo periodo emergenziale del COVID-19. Attivando lo smart working e consentendo l’accesso a tutti i sistemi da remoto tra cui le piattaforme iCare e iContact, HNP ha avviato il Business Continuity Plan per dare continuità alle attività in un settore come quello healthcare che in questi giorni è chiamato a dare prova della sua resilienza.

Per capire meglio l’importanza e il valore della certificazione integrata per la sicurezza dei dati e delle informazioni aziendali, Lorenzo Dina, Chief Information Officer di HNP, risponde a una nostra domanda:

Quanto è importante ottenere questa certificazione per un provider di servizi healthcare? Proteggere la confidenzialità, disponibilità e integrità dei dati relativi ai pazienti è di vitale importanza in un settore molto regolamentato come quello healthcare.
Gestire dati sensibili come core business richiede una implementazione rigorosa e ben miscelata di tecnologia, standard e processi.

HNP aveva già dei robusti processi interni per proteggere i dati, tuttavia la ISO 27001 ci ha aiutato a considerare tutti i rischi con l’approccio rigoroso di uno dei più impegnativi standard di sicurezza e la certificazione, oggi, è la testimonianza tangibile di uno sforzo che ha attraversato l’intera organizzazione. L’importanza di questa certificazione è straordinaria, siamo i primi nel nostro mercato a ottenerla e sarà un’ulteriore leva importante nella costruzione di valore e nelle relazioni con i nostri clienti e partner”.

Forte di questo importante successo, HNP si conferma una realtà tesa al miglioramento continuo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Roberta

“Il tempo di relazione è tempo di cura”

Articolo 4 del Codice deontologico delle professioni infermieristiche.

Vorrei partire da qui per riflettere su che cosa significhi essere un infermiere ai tempi del Coronavirus perché credo fortemente che se da un lato questa pandemia ci chiede di ridimensionare gli spazi che abbiamo a disposizione con i nostri pazienti, dall’altro ci vede costretti ad offrire loro non solo cura e assistenza ma anche un forte supporto emotivo e delle rassicurazioni in un momento storico in cui tutti ci sentiamo un po’ figli dell’incertezza e della paura, spesso anche fragili e impotenti.

Mi chiamo Roberta, sono un’infermiera e se penso a che cosa significhi per me occuparmi di pazienti al domicilio in un momento come questo, mi viene da dire che significa tanto. Significa emozioni, paure, sguardi e distanza.

Quando entro a casa dei miei pazienti è inevitabile percepire la paura negli occhi di chi mi sta di fronte.

Loro sono molto attenti e scrupolosi nei miei confronti, mi osservano… e tra un cambio di guanti e l’altro, uno sguardo quasi nascosto perché la mascherina stringe e le guance salgono… loro sono lì e io sono lì per loro. Ci devo essere.

Cambiano tante cose in tempi come questi, cambia l’approccio, cambia la postura, cambia la distanza, cambia l’accoglienza, cambia la relazione, cambia la dimensione, cambiano i saluti.

Andare a domicilio dai pazienti vuol dire instaurare con loro un rapporto rispettoso e forte, di fiducia. Si creano delle sinergie che hanno un significato importante nella relazione. Con i miei pazienti ho instaurato un forte legame, insomma passo più tempo con loro che con la mia famiglia e loro fanno parte della mia quotidianità.

Se pensiamo che il tempo di relazione è tempo di cura, dobbiamo considerare che i pazienti in questo momento necessitano ancor di più di rassicurazioni e conforto ed è legittimo che questo compito venga in qualche modo richiesto a noi: i tuoi assistiti li conosci bene; riconosci le loro espressioni, le loro smorfie, le parole troncate e le giornate tristi, i giorni spensierati e le risate condivise davanti ad un buon caffè.

Percorro molti chilometri e spesso nei miei viaggi rifletto su quanto sia importate esserci per gli altri, le strade sono vuote, i rumori assordanti non li sento più. Vedo distese di prati e montagne innevate. Cieli limpidi e alberi in fiore. È da qui che mi ricarico di energie e riparto per dirigermi da un altro paziente.

Dobbiamo imparare a vedere la relazione con i nostri pazienti come un qualcosa che in qualche modo cura anche noi, che ci aiuta a rivedere la dimensione relazionale con l’altro anche e soprattutto in termini di distanza perché ad oggi non stringo la mano a nessuno, non abbraccio nessuno per consolazione e questo significa distacco.

Quello di cui sono certa è che quando questa pandemia sarà finita potrò finalmente tornare a vivere i miei pazienti come li vivevo prima, senza panico, senza paure. Tornerò a vivere i miei pazienti nella serenità del rapporto che con loro ho creato, sicura e fiduciosa del fatto che lo stesso sarà per loro.

Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Orazio

Stiamo vivendo un’emergenza sanitaria senza precedenti, ma non ci stiamo forse dimenticando di chi ogni giorno vive la cronicità della propria malattia? Sono proprio quelle persone che, adesso che il sistema sanitario nazionale si è impallato, sono rimaste da sole a gestire il loro quotidiano.

È proprio per questi malati che noi infermieri domiciliari possiamo fare la differenza. Anche oggi ci siamo, ci siamo sempre, non solo adesso che ci hanno incollato addosso l’etichetta di eroi, ci siamo anche a Natale o a Ferragosto, con il sole o con la neve, con e senza il Coronavirus!

Siamo un punto di riferimento, una sicurezza, una certezza per i nostri assistiti in una condizione che di certo ha ben poco. Sono un infermiere che da sempre si occupa di malattie rare, quelle che quasi nessuno conosce e che in questo periodo non sono all’attenzione dei media. Proprio per i malati rari sento di dover continuare a esserci.

Svolgo quest’attività da più di dieci anni ed è bello vedere che in questo periodo i pazienti mi chiamano ogni giorno, mi aggiornano sulle loro condizioni di salute e mi chiedono le mie, cercando chiarimenti, sicurezze. Sono felici che qualcuno si continui ad occupare di loro.

Quando mi reco al loro domicilio mi fanno trovare la stanza arieggiata e pulita e indossano la mascherina. Anche loro si prendono cura di me. Questo è meraviglioso.

Proprio ieri una paziente che non seguo più da un anno perché non copro più la sua zona di residenza, mi ha chiamato per sapere se stavo bene raccomandandomi di stare attento.

Credo di fare uno dei più bei lavori al mondo.

Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Alessio

Da diverso tempo collaboro con HNP come infermiere domiciliare dedicandomi ad attività rivolte ai pazienti affetti da malattie croniche e rare.

Per un infermiere il lavoro in assistenza domiciliare è diverso dal lavoro in ospedale perché con il tempo entri a far parte della famiglia dell’assistito: non sei visto come semplice infermiere professionale, ma anche come un amico, un confidente e un punto di riferimento in ambito infermieristico per tutto il mondo che si trova dietro quel campanello che suoni anche tutte le settimane.

In questo momento così strano che stiamo vivendo per il Coronavirus, il nostro contributo di infermieri è essenziale per garantire la continuità assistenziale a domicilio per questo tipo di pazienti che presentano patologie che già di per sé li rendono più fragili di altri. Il mio lavoro infatti continua a svolgersi come sempre, ma con maggior attenzione, rispettando i protocolli di sicurezza che ci sono stati comunicati.

Che cosa è cambiato nelle mie attività? Beh, alcuni pazienti per il rapporto di fiducia che si è creato nel corso degli anni si sentono al sicuro a effettuare la terapia infusionale, proprio come si sentivano prima del virus; altri pazienti maggiormente ansiosi, pazienti che si trovano a casa dal lavoro con tutte le implicazioni che questo comporta, hanno avuto di bisogno di maggiori rassicurazioni sulla mia modalità di somministrazione della terapia, ma ancor più sui miei contatti precedentemente avuti data la mia professione, facendomi sentire una minaccia. Io non mollo, non ho esitato un secondo a spiegare loro che sono sempre Alessio, con una maschera in più e tante accortezze che servono proprio per preservare tutti i miei assistiti.

Il mio lavoro è come una missione, ed è in questo momento delicato che si deve continuare a lottare con tutte le nostre forze per il bene della collettività, lavorando con le giuste precauzioni, senza mai abbassare la guardia.

Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Gaia

Coronavirus, una parola che in questi giorni rimbomba 24h su 24h nelle nostre teste.

Un virus sconosciuto che in silenzio è entrato delle nostre vite, togliendoci la libertà di vivere la nostra quotidianità e mettendoci tante limitazioni, ma forse facendoci apprezzare i piccoli gesti quotidiani che tanto spesso diamo per scontati: un bacio, un abbraccio, una stretta di mano. Atti normali che oggi sono vietati perché la parola d’ordine è distanza.

Oggi più che mai, in questo blocco del nostro Paese, si sente un’aria completamente diversa e un silenzio surreale. Abituata a svolgere il mio lavoro come infermiera domiciliare e a spostarmi con la mia macchina in una metropoli caotica ed assordante come Roma, mi sono accorta che i rumori si sono fatti ovattati.

Gestire un lavoro delicato come il nostro a contatto così ravvicinato con i pazienti, non è semplice: molti di loro li conosciamo da anni, ma in questi giorni è facile percepire un velo di “paura” quando varchiamo la porta delle loro abitazioni. L’impatto psicologico è molto forte, non vediamo la fine di questa pandemia e come infermieri ci troviamo a dare tante rassicurazioni a pazienti timorosi con patologie complesse che oggi più che mai si sentono più fragili.

Entrando nelle loro case diventiamo dei punti di riferimento e sappiamo il peso che le nostre parole hanno per loro. Empatia e rassicurazione sono fondamentali soprattutto in questo periodo.

Sappiamo che essere infermiere è un lavoro complesso, perché oltre alle abilità tecniche prevede tutta una serie di componenti umane e psicologiche che ogni giorno mettiamo in atto. Noi siamo il nostro lavoro, perché la malattia e il dolore delle persone che incontriamo ce li portiamo sempre dietro, nel nostro zainetto di pensieri anche quando la giornata di lavoro si è conclusa.

Fare l’infermiere, in modo particolare nei programmi domiciliari, ci permette di costruire dei rapporti profondi con i pazienti e ricevere la loro fiducia stimola moltissimo il nostro operato. In questi giorni più che mai, poter ricevere la terapia nel comfort della propria casa è percepito fortemente come un valore: più di un paziente mi ha confermato che avrebbe saltato la terapia se si fosse dovuto recare in ospedale vista la situazione, interrompendo così la continuità terapeutica.

“Andrà tutto bene” è quello che l’Italia ripete a sé stessa come una sorta di mantra per scacciare via i pensieri negativi e io lo voglio ripetere a tutti i colleghi che stanno lavorando negli ospedali e nelle case, a contatto con questo nemico, dimostrando la forza e l’importanza del nostro lavoro.

Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Sarah

Sono giorni complicati, come infermiera continuo a lavorare. Non sono un’infermiera di reparto, il mio è un lavoro diverso: seguo pazienti cronici con malattie rare al loro domicilio, lo faccio ormai da anni.

Sono anni che frequento le case dei miei pazienti e sono diventata un piccolo pezzo della loro famiglia; proprio in giorni come questi si appoggiano più che mai a noi infermieri domiciliari.

Hanno bisogno di essere rassicurati e protetti, soprattutto protetti.

Ultimamente mi vedono cambiare tantissime volte i guanti, nascondere parte del mio viso dietro una mascherina, indossare gli occhiali; sembra un po’ un remake della canzone di Vianello ai tempi della pandemia. Quando entro a casa delle persone, spiego loro che tutte questi dispositivi sono per proteggerle e non per creare distanze, conosco tutte le loro problematiche che sono nate negli anni, quelle che in questo momento le rendono ancora più fragili. Loro si fidano di me, della mia professionalità, apprezzano il fatto che continui ad aiutarli.

Il mio lavoro non è solo questo, non mi interfaccio solo con pazienti a cui devo somministrare una terapia: ci sono anche quelli che monitoro periodicamente, sempre a domicilio.

Con loro è diverso: devo spiegare che per un po’ non ci vedremo, ma che ci sentiremo, che sono sempre a loro disposizione, ma dietro a un telefono; la mia professionalità è ancora a loro disposizione, ma a distanza, per proteggerli. A volte in queste chiamate parliamo di quello che sta succedendo e io cerco sempre di rasserenarli. Non è facile perché spesso non sono serena neanche io, ma sono un’infermiera e come è scritto nei primi articoli del nostro codice deontologico:

L’ infermiere si pone come agente attivo nel contesto sociale a cui appartiene e in cui esercita, promuovendo la cultura del prendersi cura e della sicurezza.

L’ infermiere orienta il suo agire al bene della persona, della famiglia e della collettività“.

E adesso, più che mai, un infermiere può essere un aiuto importante.

Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Anisoara

Di questi tempi credo che sia importante darsi molto da fare più che perdersi in chiacchiere, ma credo anche che raccontare quello che succede sia importante per chi come me ha a che fare con i pazienti, perché può essere un conforto in un momento così particolare.

Mi chiamo Anna, sono un’infermiera che si dedica all’assistenza delle persone affette da malattie complesse a domicilio.

Voglio condividere il mio vissuto in questo periodo molto delicato in cui il nostro lavoro di infermieri ci porta, oggi più che mai, a dare ai pazienti non solo l’assistenza specifica, ma anche un importante supporto in termini di rassicurazioni, informazioni, conferme, codici di comportamento per approcciarsi in famiglia e nella collettività.

Nel momento in cui varco la porta di casa dei miei pazienti vedo tante volte persone con il sorriso sulle labbra, contente di vedermi, persone che aspettano da me molte informazioni. Sono tante le domande a cui devo rispondere: come comportarsi, se certi atteggiamenti sono giusti o sbagliati. Noto anche una maggiore attenzione dei miei assistiti a tutte le manovre che metto in atto per l’infusione domiciliare e rispondo con interesse alle domande che mi fanno in merito.

Mi capita anche di vedere persone timorose al mio ingresso in casa loro, parlano con gli occhi, capisco che si stanno chiedendo: “siamo al sicuro se, tu che per lavoro ti muovi tanto, entri a casa nostra?”. Cosa posso fare per rassicurarli? Spiegare e mostrare loro qual è il modo in cui si svolgerà il mio intervento (la distanza sociale di almeno un metro, l’uso della mascherina, i ripetuti cambi di guanti in ogni fase dell’attività)

Personalmente credo che l’attività di più importante valore in questi tempi colmi di incertezze e preoccupazioni, sia il supporto psicologico: le persone si aspettano da noi che entriamo nelle loro case, rassicurazioni e conferme. Le persone ci aspettano nelle loro case per affidarsi a noi, per sentirsi protette; siamo anche la loro “valvola di sfogo” perché tante volte liberarsi delle preoccupazioni e avere risposte è tanto importante quanto la terapia. Avere a casa un operatore sanitario con cui confrontarsi tranquillizza e conforta, aiuta a “ricaricare le batterie” per continuare ad affrontare un periodo critico che si aggiunge a una condizione già fragile di per sé, quella di malato raro.

Ho trovato conforto quando, uscendo dalla casa di uno dei miei pazienti, mi sono sentita dire “ti aspettiamo la prossima volta!”.  Questo per me è importante, significa che sono riuscita a trasmettere a lui e alla sua famiglia quello che mi pongo come obiettivo sempre: fiducia, che penso sia la base del rapporto infermiere paziente.

In questo particolare periodo credo sia fondamentale il nostro operato: siamo quelli che curano “anima e corpo”, la nostra missione è di fondamentale importanza. Quindi, rivolgendomi ai miei colleghi, auguro a tutti: Buon lavoro!

 

Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Valentina

Per l’esperienza che sto vivendo in questi giorni, essere infermiera ai tempi del Coronavirus non è poi così diverso dal solito. Ogni giorno giro la chiave per accendere la macchina e mi reco al domicilio delle persone che assisto, esattamente come prima del Covid-19.

Ogni giorno questa professione è chiamata a confrontarsi con gli aspetti più importanti della vita: salute e malattia, in un confine sempre molto sottile e soprattutto senza fine.

Un aspetto che si è un po’ modificato è il livello di attenzione che stiamo riponendo a ogni accesso: cambiare molto spesso i guanti o mettere la mascherina, disinfettarsi in continuazione le mani a oggi non sono più un dispositivo di protezione individuale, ma un dispositivo di protezione per l’altro, per la persona che ho davanti che necessita incondizionatamente della terapia perché la sua malattia è cronica e come tale non scompare, non si ferma, non va in quarantena per un numero determinato di giorni!

Ed è proprio per questo che oggi più di ieri sento che una certezza prende forma: sono un’infermiera che opera nel campo dell’assistenza domiciliare, in progetti disegnati ed erogati per rispondere ai bisogni della singola persona, cuciti su essa e per questo il mio lavoro non si può fermare nemmeno di fronte a un’emergenza come quella che stiamo vivendo, perché per queste persone quello che faccio è utile, perché la cura nel mio lavoro è tutto.

Ai miei colleghi che operano nella Sanità Pubblica, in questi giorni in cui negli Ospedali si sta scatenando il caos, dedico la mia stima. Io da infermiera domiciliare spero di essere loro un po’ di aiuto, prendendomi cura dei miei pazienti al domicilio, perché siamo tutti una grande squadra unita per fare fronte a un problema, e perché finito questo problema continueremo a fare il nostro lavoro, sempre con cura.

L’Italia è tutta zona rossa, la popolazione è in quarantena, uomini e donne costretti a passare le loro giornate dentro casa e uscire solo per svolgere le attività indispensabili. Nel mio caso è l’indispensabile che arriva a casa loro! Riuscire a erogare un servizio che entra nella quotidianità, che rispetta la persona con empatia e con la massima professionalità, accompagnando i pazienti nel percorso più difficile: la malattia.

Il ruolo dell’Industria farmaceutica nel favorire il patient engagement: strumenti a disposizione

Tempo di lettura: 3 minuti

Health-coaching, visite infermieristiche mirate, portali, educazione sulla patologia e device per il monitoraggio da remoto sono solo alcuni degli strumenti che possono essere utilizzati per incentivare l’engagement del paziente cronico.

Ingaggiare il paziente significa renderlo attivo nella gestione della propria cronicità. Un paziente attivo risulta essere più aderente alle terapie. Un paziente attivo è anche in grado di orientare il sistema sanitario verso modelli di assistenza maggiormente centrati sui bisogni dei pazienti con un conseguente risparmio complessivo per il sistema sanitario globale. Questi elementi sono al centro delle discussioni istituzionali degli ultimi tempi: quale ruolo può giocare l’industria farmaceutica in questa partita del patient engagement e quali strumenti ha a disposizione?

Il ruolo delle Pharma

Il ruolo è molteplice: ingaggiare il paziente nello sviluppo dei farmaci, per creare prodotti sempre più centrati sulle reali esigenze e sul burden della malattia. Nelle aziende farmaceutiche, il coinvolgimento dei pazienti ha un impatto su diverse aree tra cui la ricerca e la gestione del portafoglio, lo sviluppo del prodotto nonché l’accesso al mercato, ai servizi e alla progettazione degli stessi. L’inclusione sistematica del punto di vista del paziente in tutte queste aree rappresenta un cambiamento di paradigma che un numero crescente di aziende sta abbracciando.

Inoltre, in una logica collaborativa pubblico-privata, l’Industria può esprimere il proprio valore mettendo a disposizione servizi che supportano medici, operatori sanitari, caregivers e in ultimo il paziente stesso nel rendersi attivo per la gestione della propria cronicità.

Patient engagement, strategie di ingaggio e strumenti utili

Per favorire l’attivazione dei pazienti è necessario incontrarli dove cominciano il loro percorso assistenziale (es. ospedali, post-acute care facilitities), ma soprattutto dove vivono ogni giorno e supportarli nella gestione della loro complessa e cronica situazione. Servizi o programmi di supporto mirati all’engagement del paziente possono includere al loro interno una molteplicità di strumenti che mixano tecniche tipiche dell’ambito della comunicazione, della psicologia ed educazionali, possibilmente coadiuvati dalla tecnologia.

La scelta di questi strumenti è uno degli step nella definizione di una strategia di engagement su cui è importante focalizzarsi per garantire l’efficacia ai propri investimenti.

Definire una strategia di engagement significa rispondere a domande quali: ma che aspetto ha un paziente coinvolto? Su quali obiettivi e PROs (patient-reported outcomes) focalizzarsi? Quali sono le metriche per la loro misurazione (scale, KPI, etc.) e le tecniche di rilevazione di tali metriche? Quali strumenti sono i più idonei per mettere in atto tale strategia?

Parlando di strumenti, tra questi vi sono l’health coaching e la formazione che possono essere fruiti de visu, via telefono o tramite tecniche di ingaggio digitale.

Il cosiddetto health coaching consiste nell’affidarsi a professionisti formati per supportare i pazienti nella gestione del proprio stile di vita e nel mettere in atto quei cambiamenti necessari ad adattare il proprio lifestyle alla patologia. Le basi dell’health-coaching si fondano su colloqui motivazionali durante i quali gli obiettivi autodeterminati dal paziente vengono discussi e reiterati dagli operatori, facilitando i cambiamenti comportamentali nel tempo.

La formazione del paziente nelle sue varie forme – educazione sulla patologia, educazione alla gestione delle reazioni avverse, empowerment per il dialogo con figure sanitarie e altre – è uno di questi strumenti. E quando si parla di educazione, è importante tener conto di livelli di alfabetizzazione sanitaria e needs differenti, compresa la necessità di includere caregivers e membri della famiglia per aumentare l’efficacia degli interventi formativi.

Tecniche di ingaggio digitale  

Ruolo fondamentale per il tema del patient engagament lo hanno le tecniche di ingaggio digitale, quali campagne email, portali e app che rappresentano valide possibilità per trasferire informazioni sanitaria, aumentare l’awareness e rendere l’engagement un allenamento quotidiano nella vita del paziente.

Professionisti del sistema socio-sanitario verso il patient engagement

Alla base di un’applicazione efficace di queste metodologie vi è la sensibilizzazione e la formazione dei professionisti del sistema socio-sanitario verso le tecniche che loro stessi possono utilizzare per l’engagement del paziente. Dalla prima conferenza di consenso italiana “Raccomandazioni per la promozione del patient engagement in ambito clinico-assistenziale per le malattie croniche” è emerso che per sensibilizzare, formare e coinvolgere i professionisti sanitari e il team assistenziale è necessario promuovere una “cultura dell’engagement” attraverso azioni concrete che toccano diversi ambiti. E anche in questo caso l’industria farmaceutica può giocare un ruolo importante.

Coronavirus, le disposizioni di operatività dei PSP e di sicurezza dei lavoratori disciplinate da HNP

HNP sin dal primo giorno si è attivata, alla luce delle misure cautelative disposte a livello nazionale e regionale per contenere la diffusione del virus Sars coV2 (Coronavirus), definendo un piano di attività finalizzato a garantire sia la sicurezza e tutela di lavoratori e utenti, sia la continuità delle attività di business aziendale.

Una direzione di risk management con un team composto dal Chief Operations Officer, Quality Manager & Compliance Support, HR e IT managers ha proceduto alla valutazione degli aspetti operativi e/o impattanti relativi al personale di sede e sul territorio, all’erogazione delle attività, comunicando quanto previsto ai clienti.

Sin dall’inizio sono stati determinati e comunicati ai diversi stakeholder dell’azienda i soggetti di riferimento per le comunicazioni in merito al piano di emergenza e sono state illustrate le procedure da mettere in atto sia agli operatori del territorio, che ai Coordinatori, medici e utenti.

In particolare, il personale di sede ha proseguito le attività ordinarie negli uffici attenendosi alle indicazioni del Ministero della Sanità sui comportamenti da seguire, limitando le trasferte in zona nord e preparandosi in caso di necessità di lavoro in smart working.

Operatività dei PSP

HNP ha disposto che tutti gli operatori che risiedono in zone di quarantena siano sospesi dalle attività presso i pazienti o i Centri Clinici sino a diversa indicazione (sono viceversa fattibili le attività che prevedono supporto a distanza ad esempio call center).

Nelle Regioni oggetto di ordinanza, per tutti i PSP che prevedono training e/o monitoraggio ovvero che non necessitano di una presenza fisica dell’operatore, le visite sono state limitate e/o posticipate o se possibile sostituite con un contatto telefonico.

Per i PSP che prevedono un atto sanitario non delegabile -come nel caso degli home treatment e prelievi domiciliari – gli infermieri sono stati chiamati ad adottare il protocollo previsto per singolo PSP e in particolare a contattare il paziente 24 ore prima della visita per assicurarsi sulle condizioni di salute e, in presenza di sintomatologie “sospette” (es. raffreddore, febbre, tosse, etc.), avvisare il medico di Servizio. E’ stata inoltre integrata la dotazione degli appositi presidi di sicurezza degli operatori.

Attraverso una comunicazione ufficiale rivolta a tutti gli operatori è stata esplicitamente sottolineata l’importanza di segnalare eventuali mancate visite rispetto ai protocolli previsti e nel caso di insorgenza di una sintomatologia analoga alle comuni infezioni respiratorie come raffreddore, febbre, tosse, dolori muscolari e difficoltà respiratorie, di informare immediatamente il proprio Coordinatore al fine di individuare in modo tempestivo le modalità più opportune per la sostituzione o posticipazione dell’attività.

I clienti dei relativi PSP sono stati informati dei protocolli messi in atto al fine di garantire una comunicazione tempestiva di cambi eventuali e dell’andamento delle attività già pianificate.