Come monitorare i PSP – il ruolo delle survey

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Analizzare l’andamento di un servizio per monitorare il livello di soddisfazione dei suoi destinatari, e individuare indicatori quantitativi e qualitativi che permettano di avere una visione chiara del contesto di riferimento sono attività fondamentali nel settore healthcare. Per questa ragione le survey risultano essere un valido strumento per misurare prodotti e servizi.

Healthcare Survey dal design alla somministrazione

Ogni qualvolta si decida di utilizzare un questionario per indagare un determinato argomento, il primo step consiste nella definizione degli obiettivi: quali informazioni si vogliono raccogliere? Chi sono i soggetti da coinvolgere?

Dopo aver stabilito l’obiettivo, la survey viene progettata e definita sulla base del target al quale verrà sottoposta. In questa fase è necessario scegliere quale impostazione dare al questionario e alle domande da porre, in base alle informazioni che si vogliono sottoporre al campione: si possono infatti collezionare dati quantitativi, informazioni puntuali su un dato topic, dati qualitativi come indicazioni che forniscono dettagli e approfondimenti necessari per capire meglio l’opinione del rispondente.

Altro aspetto a cui prestare attenzione è il linguaggio; la sua scelta deve essere in accordo con il destinatario: un questionario somministrato a un Clinico non può utilizzare lo stesso tone of voice e registro di uno destinato a un paziente.

Una volta predisposta la survey è necessario che i contenuti vengano condivisi con il committente – la Pharma – ed eventualmente con altri stakeholders coinvolti nell’indagine: comitati scientifici, associazioni di pazienti o piccoli gruppi di Clinici.

Una volta completata questa fase si può dare il via alla somministrazione della survey che può avvenire utilizzando diversi canali: si può optare per un questionario online da inserire in una landing page o da inviare al campione di rispondenti attraverso una email o un SMS, si può utilizzare una somministrazione tramite Call Center o tramite questionario cartaceo.

Le survey al servizio dei PSP

Per quanto riguarda più specificatamente il mondo dei PSP, le survey possono essere destinate principalmente a due diversi soggetti: Clinici e pazienti. Con i primi l’obiettivo può essere quello di valutare l’andamento del PSP e l’impatto che fornisce alla normale routine assistenziale del Centro, con i secondi si può valutare quanto il Programma costituisca un valido alleato nella gestione della terapia e nel miglioramento della qualità di vita. Per entrambi i soggetti le survey costituiscono inoltre uno strumento per far emergere gli unmet needs e acquisire input per il design di componenti che possano andare a soddisfarli.

La survey può veicolata in diversi momenti del PSP: nella fase di adesione, in una fase intermedia ad intervalli di tempo prestabiliti, al termine del programma.

Risulta infine indispensabile, nell’ambito di una corretta progettazione delle survey, definire puntualmente gli aspetti correlati alla privacy: è infatti necessario garantire l’anonimato dei rispondenti, per evitare bias nella ricerca e tutelare i dati personali.

Il rispetto della privacy può comunque contemplare la raccolta di alcuni dati anagrafici in forma anonima che costituiscono informazioni importanti per identificare alcune caratteristiche aggregate della popolazione dei rispondenti.

Identificare l’obiettivo, individuare il target, utilizzare un linguaggio chiaro e coerente con lo scopo dell’indagine sono dunque passaggi chiave per la buona riuscita di un questionario.

Video teaser: come catturare l’attenzione in meno di un minuto

Video teaser

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In un mondo sempre più affollato da informazioni accessibili e multicanale è fondamentale trovare la corretta maniera di veicolare i propri contenuti. Come riuscirci, in particolar modo quando si parla di salute?

Stabilendo una gerarchia del contenuto per raggiungere un obiettivo: il coinvolgimento del pubblico.

Quando si lavora sull’engagement per contenuti healthcare le logiche sono le stesse di qualsiasi altro settore, con un punto di attenzione: l’informazione deve essere chiara e verificata.  Analizziamo quindi uno strumento che coniuga la potenza dell’immagine e la velocità del messaggio: il video teaser.

Video e video teaser

Negli ultimi anni il video marketing è diventato uno strumento fondamentale per comunicare con il proprio pubblico: il 92% di tutti gli utenti di Internet in Italia guarda contenuti video online (WeAreSocial, 2020); questo accade sia perché gli utenti prediligono

A confermare ancora di più quanto il formato video sia popolare è un altro dato: 3 ore e 40 minuti – questo è il tempo medio giornaliero speso dagli italiani per guardare video sul web, dato che ha avuto un’importante crescita con la pandemia e che, ad oggi, non sembra arrestarsi.

Analizzando più nello specifico YouTube, tra le piattaforme più utilizzate per visualizzare video online, sono 2,2 milioni gli utenti attivi in Italia, di questi il 25,3% fruisce i contenuti attraverso mobile, il 74,7% via computer. La distinzione per genere vede una prevalenza di uomini tra gli utilizzatori della piattaforma, con il 58,6% di utenti. Andando invece a fare una distinzione per fascia di età, il 19,3% degli utenti ha tra i 18 e i 24 anni, il 34,8% tra i 25 e i 34 anni, il 16,7% tra i 35 e i 44 anni, l’11,5% tra i 45 e i 54 anni, il 9,4% tra i 55 e i 64 anni e il restante 8,3% è over 65.

Data la sua evidente popolarità, ad oggi il formato video è tra i più adottati dalle aziende, in qualsiasi settore, in particolar modo quando il tempo disponibile per coinvolgere e ingaggiare il proprio target è di pochi secondi. A perseguire perfettamente questo obiettivo sono i video teaser, ovvero brevi filmati, densi di azione, che condensano in un tempo limitatissimo pochi messaggi che invogliano il pubblico a cercare maggiori informazioni – il cuore del messaggio.

Il teaser diventa quindi il primo tassello di un piano di comunicazione molto più ampio: trattandosi infatti di una sorta di preview, è fondamentale pianificare una campagna di comunicazione che passo dopo passo sia in grado di fornire tutte le informazioni necessarie a un determinato prodotto o servizio per essere conosciuto. Come? Strutturando una campagna social, una pagina web, delle brochures che raggiungano i destinatari sui vari canali in cui si trovano a fare le loro ricerche e soprattutto a conversare.

Video teaser e mondo healthcare

Cosa succede quando il contenuto della campagna di comunicazione tratta di salute? Bisogna innanzitutto tenere presente che il settore è regolato in maniera piuttosto stringente, ma i meccanismi alla base delle scelte di comunicazione sono gli stessi. Ci si ritrova quindi a strutturare campagne rivolte ai pazienti, ai Clinici, ai caregiver che sono prima di tutto persone, le stesse che scelgono una determinata serie tv, un paio di scarpe, che mettono in atto criteri di selezione nella scelta dei prodotti e dei servizi di consumo come in quelli della salute.

Ed ecco come il video teaser può essere un valido tool per annunciare l’apertura di uno strutturato progetto di awareness su una patologia rara, può spiegare in 40 secondi le caratteristiche principali di un webinar destinato alla formazione della classe medica, può fornire le informazioni sulla modalità di gestione di un device rimandando a una pagina di approfondimento in un sito che è stato creato ad hoc, può ricordare che tra qualche settimana inizierà un ciclo di incontri per lo sharing experiences tra una comunità di pazienti, può far sapere che una certa Regione sta mettendo in campo una serie di misure sanitarie per il contenimento della emergenza sanitaria rimandando ad una sezione di approfondimenti in cui raccogliere tutte le informazioni.

La forza di questi video sta nella loro capacità di essere fruiti tanto sui social network quanto negli schermi di una sala d’attesa quindi ovunque e conseguentemente da chiunque.

Una volta identificato il target, la strategia di marketing e il piano editoriale, la sfida è dunque riuscire a produrre un video teaser che sia in grado di suscitare l’interesse necessario per far sì che, chi lo guarda, sia portato ad andare avanti, cercare informazioni aggiuntive e prendere parte, attivamente, all’iniziativa. E se questo è vero in generale, lo è ancora di più nel mondo healthcare, dove è sempre più fondamentale coinvolgere pazienti, Clinici e caregiver affinché diventino partecipativi e consapevoli.

 

https://www.oberlo.it/blog/statistiche-video-marketing

https://www.87seconds.com/c/en/video-teaser/

 

 

Intervista a Silvia Stefanelli, avvocato specializzato in Health Service Legislation, e-Health e protezione dei dati

Privacy by design

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Approccio privacy by design e by default, secondary use dei dati e cultura della privacy nelle realtà aziendali: sono questi gli argomenti che approfondiremo grazie a Silvia Stefanelli, avvocato specializzato in Health Service Legislation, e-Health e protezione dei dati, che ha risposto alle nostre domande.

Perchè è utile tener conto di un approccio privacy by design e by default nella progettazione delle impostazioni a tutela dei dati personali previste per qualsiasi servizio sanitario?

 

L’articolo 25 del GDPR stabilisce che un processo che coinvolge il trattamento dei dati deve rispettare il principio della privacy by design e by default: ciò significa che nel momento in cui si decide di implementare un processo in cui si trattano dati si devono valutare sin da subito tutti gli aspetti privacy.

Questo principio che può apparire un po’ scontato, in realtà molto raramente viene applicato in maniera conforme al GDPR: solitamente, in ambito sanitario, il processo viene immaginato prima sotto il profilo clinico ed organizzativo e solo successivamente ci si pone il problema dei profili privacy.

Cioè solo in un secondo momento ci si interroga su quali siano i ruoli Privacy, quale sia la base giuridica del trattamento (aspetto fondamentale perché è ciò che rende il trattamento lecito), quali strumenti verranno utilizzati ed in generale sugli aspetti di rispetto del GDPR.

È chiaro che quando l’analisi dei profili privacy arriva a processo già disegnato si cercherà, inevitabilmente, di piegarla al progetto già in corso.

Proprio per evitare questo effetto, è fondamentale nel momento stesso in cui si pensa all’organizzazione del servizio e agli aspetti clinici, cominciare a interrogarsi anche sui profili privacy.

Questo non è l’unico aspetto, infatti, la conformità “by design e by default” al GDPR sta diventando un fattore competitivo sempre più interessante per le aziende che la attuano, poiché esse sono avvantaggiate a livello concorrenziale rispetto a chi non ottempera alla normativa.

Da un lato – sulla base di un accordo tra Consip e il Garante Privacy- i bandi pubblici per l’acquisto dei software medicali da parte delle strutture sanitarie dovranno prevedere specifici requisiti di compliance privacy “fin dalla progettazione e per impostazione predefinita”.

Specularmente, nel settore privato gli accordi per la fornitura di software – ma anche in generale le partnership e le operazioni societarie – includono già da tempo due diligence sempre più approfondite sulla data protection by design dei prodotti così come sull’intero sistema privacy delle organizzazioni.

Quanto è importante formare il personale in materia di trattamento dei dati sensibili e favorire la diffusione di una “cultura della privacy” all’interno delle realtà aziendali?

Io ritengo che la formazione del personale sia cardine per far funzionare quel sistema di gestione del dato che, nei fatti, è richiesto dal GDPR.

Anche il miglior sistema di gestione di un dato, dove non sia accompagnato dalla sensibilità e dalla consapevolezza del personale, rischia di non raggiungere gli effetti desiderati. Per questo credo che l’investimento delle aziende sulla formazione del personale con l’obiettivo di sensibilizzarlo rispetto al tema dei dati sia fondamentale.

È quindi imprescindibile che la formazione abbia un “taglio operativo”: non deve limitarsi a trasmettere i principi fondamentali del GDPR, ma deve spiegare – nella pratica e con un approccio “personalizzato” a seconda dell’organizzazione e dell’attività aziendale – cosa deve fare il personale e soprattutto cosa deve evitare per scongiurare il rischio che l’azienda sia oggetto di possibili sanzioni.

È possibile utilizzare i dati sensibili per finalità diverse e non previste dalla prestazione per cui sono stati inizialmente raccolti? Se si, in che modo?

Il cosiddetto secondary use – vale a dire il trattamento di un dato per una finalità diversa da quella originale per cui quel dato è stato raccolto – rimane uno dei temi più interessanti dell’intero regolamento soprattutto per le implicazioni che ha nell’ottica di riutilizzare le informazioni per alimentare la conoscenza, il progresso e, di conseguenza, potenziare lo sviluppo economico.

In quest’ottica certamente l’art. 5 prevede questa possibilità indicando espressamente alcuni settori, tra cui la ricerca scientifica, nei quali il dato può essere utilizzato per uno scopo differente da quello originario.

In ogni caso il secondary use per fini di ricerca scientifica sarà legittimo purché, in particolare:

  • vengano considerate le ragionevoli aspettative dell’interessato in base alla sua relazione con il Titolare con riguardo al loro ulteriore utilizzo,
  • vengano valutate le conseguenze per l’interessato dell’ulteriore trattamento,
  • esistano garanzie adeguate (come ad esempio la pseudonimizzazione dei dati personali),

e solo dopo aver valutato di non poter conseguire tali finalità trattando dati de-identificati o anonimi.

La questione si complica qualora il trattamento ulteriore per finalità di ricerca scientifica venga effettuato da un soggetto terzo.

In questo caso, infatti, l’apertura del GDPR si scontra con l’articolo 110 bis del nostro codice privacy, il quale richiede, per il secondary use da parte un terzo, l’autorizzazione del Garante quando fornire l’informativa privacy è impossibile o implica uno sforzo sproporzionato, oppure rischia di impedire o pregiudicare la ricerca, e sempre che siano adottate misure di garanzia, comprese forme preventive di minimizzazione e di anonimizzazione dei dati.

 

Digital Healthcare e supporto umano: l’integrazione come valore aggiunto dei PSP

Supporto umano

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Piattaforme che facilitano il monitoraggio della sintomatologia dei pazienti, applicazioni che agevolano il contatto con il medico, dashboard aggiornate in tempo reale per permettere agli Specialisti di valutare l’andamento della terapia, device che aiutano a mantenere una buona aderenza- come nel caso di SimpleMed+ di Vaica .

Sono tante le opportunità offerte dai nuovi strumenti di digital health che ampliano il perimetro delle soluzioni destinate al controllo e al supporto continuativo dei pazienti affetti da patologie croniche.

Il valore aggiunto fornito dal digitale ai programmi di supporto al paziente è stato fondamentale per l’incremento di tali tecnologie, soprattutto nell’ultimo anno. Durante l’emergenza COVID-19 , il mondo healthcare si è affidato in modo particolare agli strumenti digitali per garantire la continuità operativa dei PSP nel rispetto della sicurezza di medici e pazienti.

In che modo le applicazioni, le piattaforme e gli assistenti vocali entrano a far parte della quotidianità dei pazienti? Come possono essere inserite in modo efficiente nei programmi di supporto per creare un valore aggiunto per tutti gli stakeholder dell’healthcare?

Gli strumenti per la creazione di PSP integrati

In un periodo legato ad un’emergenza sanitaria le soluzioni digitali possono quindi costituire l’unica opzione di supporto? Assolutamente no: il digital divide continua ad essere presente e sale il tasso di invecchiamento della popolazione.  Pertanto un provider di programmi di supporto deve saper cogliere il valore delle innovazioni e le potenzialità che esse possono offrire ai diversi attori dell’healthcare integrandole con componenti che possano risponde alle necessità reali dei pazienti.

Ad esempio, offrire al paziente una soluzione digitale in cui vengono monitorati i parametri vitali o i valori a cui prestare attenzione, offrendo al contempo un call center con personale opportunamente formato pronto a rispondere ai propri dubbi di natura tecnica quanto sanitaria può rappresentare un ottimo compromesso per raggiungere l’integrazione tra supporto umano e digitale.

Per questo motivo è fondamentale seguire un approccio patient experience designed, basato sull’ascolto delle necessità del paziente per disegnare soluzioni che rispondano agli unmet needs individuati e ai pain points dichiarati. Solo attraverso questa attività si può comprendere quanto una offerta digitale possa avere reale valore per gli utilizzatori e quanto sia necessario integrarla con componenti non digitali.

Una volta disegnato e avviato il PSP, il passo successivo prevede la raccolta di dati di real world evidence, i quali permettono di monitorare l’efficacia che il programma ha per tutti i suoi destinatari; uno strumento di verifica di questo tipo di dati viene può essere costituito dalle survey che permettono di raccogliere misurare l’esperienza del paziente in momenti critici prestabiliti. In questa maniera è possibile valutare l’andamento di KPI di programma stabiliti per determinarne la sua efficacia.  Attraverso le survey si può indagare come il PSP abbia migliorato la condizione del paziente in termini di aderenza e più in generale di qualità di vita. Come? Raccogliendo il suo stato pre- PSP e comparandolo a 6, 12 mesi fino allo stop delle attività di supporto, qualora sia previsto.

La sfida per il provider consiste nel dimostrarsi flessibili nell’apportare modifiche in accordo ai dati di real world che emergono dall’analisi dell’esperienza.

 

 

 

 

 

Health literacy: dal benessere della persona a quello della comunità

Health literacy

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L’emergenza sanitaria ha portato in evidenza il tema della alfabetizzazione sanitaria (health literacy), ma cosa significa veramente e quali sono gli effetti di questo fenomeno?

Health literacy, la consapevolezza nell’healthcare

Per health literacy, o alfabetizzazione sanitaria, si intende la capacità di comprensione e  utilizzo delle informazioni sanitarie oltre all’accesso ai servizi di salute effettuando scelte consapevoli.

La health literacy pertanto non fa riferimento alla sola capacità di comprendere i termini che riguardano la salute e che da sempre affollano opuscoli e foglietti informativi, ma soprattutto ad una strategia di empowerment che può indirizzare i cittadini all’accesso cosciente alle informazioni e ai servizi per poterne fruire nella maniera più efficace.

Il concetto parte da un assunto: il paziente riveste un ruolo attivo nella gestione della propria salute.

Infodemia: la sfida per una corretta alfabetizzazione sanitaria

Lo scenario della pandemia da Covid-19 che stiamo attraversando ha confermato che l’health literacy deve necessariamente diventare un investimento pubblico importante e strategico a livello individuale quanto collettivo.
La pandemia ci ha messi di fronte alla necessità di comprendere e rispondere in maniera appropriata e rapida alle indicazioni governative in materia di salute in un contesto caratterizzato dall’esposizione a una quantità eccessiva di informazioni in rapido aggiornamento e spesso in contraddizione tra loro.
L’eccesso di informazioni è stato definito dall’OMS “infodemia”: troppe notizie rendono difficile individuare fonti attendibili e indicazioni affidabili in momenti critici.

Come si può evitare di cadere nell’infodemia? Lavorando su linguaggi semplici e chiari, inclusivi e destinati a tutte le fasce della popolazione; un esempio molto interessante è Covid-19 Health Literacy Project che traduce in più di 40 lingue informazioni utili riguardanti la malattia per aiutare gli utenti a comprendere quando e come cercare e trovare assistenza.

Una finestra sull’Europa

Nel 2018 è stato sviluppato il primo network europeo per la misurazione dei livelli di health literacy: l’Action Network on Measuring Population and Organizzational Health Literacy (M-Pohl) che, attraverso indagini conoscitive e comparative, ha l’obiettivo di analizzare la qualità dell’alfabetizzazione sanitaria nella popolazione adulta dei diversi paesi dell’UE.

Nel 2017, uno studio condotto su diversi paesi dell’UE (inchiesta auto-valutativa) fornisce dei dati deludenti per l’Italia, collocata piuttosto in basso nella classifica dei paesi europei con i più alti livelli di health literacy: circa il 55% della popolazione italiana si attesta a dei livelli di alfabetizzazione sanitaria inadeguati.

Lo stesso studio indica che in nord Europa, in particolare in Olanda, si rilevano i migliori livelli di alfabetizzazione sanitaria, mentre in Spagna e Bulgaria si supera il 60% di analfabeti sanitari, poco più su in classifica Grecia e Polonia si attestano intorno al 44%.

L’esempio dei Paesi Bassi ci fa notare che unire i tentativi di empowerment sia degli individui che della comunità a una buona comunicazione nel settore sanitario porta a degli ottimi risultati in termini di crescita e miglioramento dell’health literacy e conseguentemente di gestione della salute.

Lavorare sulla health literacy significa dare vita a soluzioni concrete: messaggi di testo sul cellulare con i promemoria sull’assunzione del farmaco o sulle analisi da condurre, siti web interattivi per navigare la journey di malattia, glossari di malattia generati su canali social, stories instagram con sondaggi per valutare il grado di conoscenza di determinate tematiche, interazioni voice based basate sul machine learning – sono solo alcuni degli esempi che lavorano in queta direzione.

Sono ancora molti gli step per generare una health literacy diffusa in maniera capillare, ma i passi da gigante compiuti dal digitale e la sempre maggiore attenzione al patient experience design promettono il raggiungimento di risultati significativi.

 

 

Storie di respiri: lo storytelling per i pazienti affetti da ipertensione polmonare

Ipertensione polmonare

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“La malattia è una battaglia, ma avere accanto persone di cui ti fidi e un supporto che è pronto ad aiutarti quando ti trovi in difficoltà è importante”. Così Simone racconta l’importanza che la sua famiglia e il supporto tecnico di Breelib hanno avuto durante tutto il percorso di cura per l’ipertensione polmonare.

Questa storia, insieme a quella di altre cinque persone provenienti da tutta Italia, ha dato vita al progetto di storytelling Storie di Respiri che ha l’obiettivo di raccontare l’ipertensione polmonare attraverso le parole di chi tutti i giorni lotta per affrontarla, i pazienti.

Una malattia rara e di difficile diagnosi perché caratterizzata da sintomi aspecifici come affanno e stanchezza, ma che se correttamente trattata può permettere di non dover rinunciare a tutto.

Anna, Olindo, Eugenia, Clotilde, Paolo e Simone sono i protagonisti dell’opuscolo che di abbiamo realizzato grazie al contributo di Bayer e con la sponsorizzazione dell’Associazione Pazienti AMIP (Associazione Malati Ipertensione Polmonare).
L’obiettivo è quello di condividere un vissuto che accomuna tutti i pazienti affetti da ipertensione polmonare e accrescere la conoscenza sulla malattia.

Abbiamo posto una domanda al Professor Vizza del Dipartimento di Scienze Cliniche Internistiche Anestesiologiche e Cardiovascolari de La Sapienza di Roma, figura di riferimento nell’ambito della Ipertensione polmonare:

Quanto è importante per il paziente affetto da ipertensione polmonare poter contare su un supporto tecnico durante il suo percorso di terapia?

L’ipertensione arteriosa polmonare è una malattia che richiede trattamenti complessi; con questo intendo la somministrazione di farmaci per via inalatoria, sottocutanea o infusionale. In questi casi avere il supporto di personale specializzato nella gestione dei device per l’erogazione dei farmaci è fondamentale, sia nella fase di addestramento dei familiari e dei pazienti, sia in caso di malfunzionamento. Un altro aspetto importante è la possibilità di avere la distribuzione domiciliare del farmaco e del materiale di consumo.

 

Laura Gagliardini, Presidente dell’Associazione AMIP (Associazione Malati Ipertensione Polmonare) ci ha spiegato l’importanza rivestita dallo storytelling:

Che ruolo ha la condivisione delle storie di malattia nel supporto ai pazienti?

Condividere le proprie storie si è rilevato fondamentale (noi abbiamo pubblicato un libro ad uso dei soci sulla resilienza), in quanto il malato non si sente solo e può prendere spunti per rielaborare “la sua nuova vita”.

 

Ci auguriamo quindi che storie di respiri possa essere uno spunto per tutti coloro che avranno la possibilità di leggere queste storie di persone che tutti i giorni affrontano le proprie paure, le complicazioni, con coraggio.

 

 

 

 

 

 

 

Intervista alle Slide Queen, visual and slide designer

Comunicazione visiva

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In un contesto lavorativo che investe sempre più sulla digitalizzazione, che ruolo ha la comunicazione visiva?  

La comunicazione visiva in questo contesto sempre più digitalizzato ha un ruolo fondamentale e deve, essa stessa, affrontare delle sfide non da poco. Una di queste è senza dubbio il tema della riconoscibilità: in una fruizione sempre più parcellizzata dei contenuti prodotti per il nostro ecosistema digitale che rimbalzano dal sito web proprietario a LinkedIn, passando dalla pagina Facebook per arrivare a una stanza di Clubhose il nostro brand o servizio o prodotto dev’essere subito riconoscibile.
Le persone che ci seguono devono subito accorgersi di chi sta parlando attraverso un brand con una forte identità e un visual storytelling con format coerenti al corporate aziendale e con un tono di voce rigoroso.

 

Capacità di organizzare il pensiero e renderlo visuale: dote innata o skill da affinare? 

Crediamo che sia una skill da affinare, senza ombra di dubbio; imparare a leggere le immagini e quello che rappresentano dovrebbe essere uno degli argomenti da studiare sui banchi di scuola, purtroppo non è così. Imparare a esprimersi e a esporre il proprio pensiero attraverso dei segni è fondamentale per riuscire a sintetizzare il mondo che ci sta attorno.

Ritornando al periodo storico che stiamo vivendo, la facilitazione visuale è un metodo che ha tanti vantaggi tra i quali il permettere di rappresentare la realtà senza dover usare la lingua, perciò può essere un valido punto di contatto tra culture diverse.

 

Il mondo dell’healthcare di solito punta su una comunicazione visiva sempre “protettiva”, come si fa la differenza?

Secondo noi creando un brand molto forte a livello grafico, testuale e soprattutto valoriale.
Le domande che è necessario porsi tutte le volte che strutturiamo un contenuto devono essere:

  • quali sono i valori del mio brand e come li comunico?
  • qual è la promessa che faccio al mio pubblico e come la comunico?
  • la mia comunicazione è coerente ai miei valori e alla mia promessa?

Se tutto è allineato possiamo creare e distribuire il nostro contenuto che sicuramente non passerà inosservato.

Per fare la differenza in un contesto che usa messaggi ‘protettivi’ si può pensare di creare degli elementi disruptive e innovatori magari usando canali di distribuzione inusuali, senza perdere riconoscibilità, allineamento dei valori e promessa.

Patient Access: nuove prospettive e progettualità per il settore farmaceutico

Patient Access

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Il Market Access si trova di fronte a un forte cambiamento di prospettiva; in un contesto così mutevole è necessario che tutti gli attori dell’healthcare propongano nuovi modelli progettuali capaci di rispondere a un approccio sempre più patient-oriented

From Market to Patient

Chiariamo innanzitutto il concetto di Market Access: esso può essere definito come l’insieme delle leve che favoriscono l’accesso, l’adozione e il riconoscimento del valore del prodotto farmaceutico da parte del mercato.

Quali sono gli stakeholders a cui si rivolge ? Le regioni, le ASL, i Dipartimenti farmaceutici, le Associazioni, i pazienti, Aifa, i Clinici, le società scientifiche.
Alle volte il Market Access può non risultare in grado di comunicare agli stakeholder l’effettivo valore di un farmaco; capita infatti che policy-maker e payer siano impegnati a contenere i costi senza compromettere l’assistenza sanitaria, lasciandosi così distrarre da questioni riguardanti il prezzo anziché il value del prodotto farmaceutico.

Il nuovo paradigma che si va affermando in questo nuovo scenario è quello del Patient Access, ovvero un approccio al mercato maggiormente patient-oriented che mira a rispondere in maniera efficiente ai bisogni del paziente e agli obiettivi di tutti gli altri stakeholder coinvolti.

Questo nuovo approccio permette al paziente di accedere in maniera semplice al corretto trattamento e ai servizi sanitari necessari, viene incontro alla necessità dei policy-maker e payer di ridurre la spesa sanitaria e facilita gli Specialisti nell’individuazione dei trattamenti più efficaci a seconda della popolazione di pazienti.

Il paradigma del Patient Access

In cosa si traduce quindi il paradigma del Patient Access per le aziende pharma e quali sono le azioni che possono essere introdotte per mettere a punto un approccio che tenga conto degli obiettivi di tutti gli stakeholder del sistema salute?

In primo luogo, è necessario utilizzare un nuovo approccio negoziale da parte dei Market Access Manager. L’AIFA e gli enti regolatori stanno incorporando delle metodologie basate sull’evidenza del valore generato dal farmaco, introducendo un sistematico utilizzo dei registri e del meccanismo di rimborso condizionato (Payment by Results). Questo comporta l’impellente necessità di sviluppare strategie basate non solo sulle evidenze generate dai trial clinici, ma sulla capacità di raccogliere i dati di real-life lungo tutto il ciclo di vita del prodotto: entrando a pieno titolo nella dimensione della real world evidence.
Il paziente diventa un soggetto attivo da coinvolgere nella fase iniziale di ricerca, nonché nell’individuazione degli unmet need clinici lungo tutto il patient journey.

Il paradigma del Patient Access implica una differente prospettiva comunicativa da parte del marketing nella costruzione delle strategie di posizionamento aziendale. Si auspica infatti che queste ultime non debbano più essere fondate esclusivamente sul prodotto, ma sulla capacità di fornire soluzioni che contribuiscano a migliorare l’esperienza di utilizzo del farmaco con un impatto positivo su tutto il Sistema Sanitario.
Si tratta, in sostanza, di soluzioni che mirino ad aumentare l’awareness del paziente rispetto al suo ruolo nel percorso di cura, agevolare la fruizione dei servizi ospedalieri favorendo la strutturazione di team di cura multidisciplinari, facilitare l’appropriatezza terapeutica e creare meccanismi di comunicazione snelli tra il territorio e i Centri Specialistici.

Cosa abbiamo imparato in questi ultimi anni: alcuni esempi progettuali

Dall’interpretazione di questi cambiamenti in atto e partendo da una storica posizione di vicinanza al paziente che da sempre ha caratterizzato il lavoro di Healthcare Network Partners, sono stati sperimentati e consolidati nuovi modelli progettuali basati sulla forte contaminazione tra differenti professionalità e sull’integrazione con partner di valore.

Il contributo di HNP nell’ambito del Patient Access si traduce oggi in progetti di Real Word Evidence quali la collezione di patient report outcome (PRO) e nella valorizzazione di dati derivanti da servizi ai pazienti.

Anche le iniziative di sensibilizzazione della classe medica rientrano nel concetto di Patient Access. Tra queste, le proposte di video formativi sulla Telemedicina che hanno il compito di stimolare una migliore comunicazione nel rapporto Paziente-Specialista Ospedaliero.

Gli stessi progetti di sistema (anche definiti multi-stakeholder), volti a coinvolgere farmacisti e Medici di Medicina Generale in un percorso integrato di cura e follow-up del paziente, appartengono a questa nuova modalità di lavoro. Insieme a questi, vengono progettate delle attività di referral Centro-Territorio con l’obiettivo di promuovere l’appropriatezza terapeutica e la diminuzione dei tempi di diagnosi.

 

Patient experience design: la ricerca etnografica

Osservare, raccogliere elementi che ci possano aiutare a decifrare dei comportamenti, a portare in luce i bisogni.

Osservare per disegnare servizi su misura  per i pazienti.

La ricerca etnografica è una delle componenti del patient experience design, la più delicata perché è quella che ci mette in contatto con il campione che vogliamo analizzare. I tasselli che la compongono sono diversi: c’è l’attività di osservazione vera e propria che può avvenire con tecniche a cui va aggiunto l’utilizzo di materiali da osservare (documenti, foto, audio, video, etc) che possono essere importantissimi per contestualizzare al meglio la ricerca.  A questo vanno aggiunte: capacità empatiche, di analisi e una dettagliata reportistica in grado di presentare in maniera chiara i risultati e proporre delle riflessioni per agire.

Non è più possibile disegnare progettualità rivolte ai pazienti senza mettersi nei loro panni, questo è possibile solo osservandoli e analizzandone i comportamenti nei loro ambienti, sui loro canali.

L’approccio conoscitivo sta cambiando rapidamente e per questo implementare strumenti che partano dalla più tradizionale ricerca etnografia fino alla giovanissima netnografia (o digital etnography) diventa fondamentale per offrire soluzioni healthcare che tengano conto dei bisogni reali e dei contesti, quelli realmente vissuti.

Verso la  business etnography

Si parla in maniera appropriata di ricerca etnografica quando si ricorre all’osservazione partecipante come tecnica privilegiata di rilevazione delle informazioni. Al ricercatore è richiesto un livello alto di coinvolgimento nella realtà osservata a contatto diretto con le persone e il contesto di interesse, ma in ambito healthcare, quando si parla di fornire soluzioni patient centered, è più corretto riferirsi alla business etnography. Come sottolinea nel suo blog, Maria Cristina Lavazza, esperta di Experience Design, la business etnography ha due caratteristiche ben definite: ha un committente reale che commissiona la ricerca con obiettivi precisi e a cui vanno restituiti i dati rilevati in maniera funzionale a creare soluzioni di design. In questo caso quindi il ricercatore deve essere in grado di osservare il contesto in modo puntuale cogliendo anche i dettagli all’apparenza più ininfluenti. Capire senza forzare ed essere abili nel mantenere un distacco emotivo al contempo maturando una necessaria empatia per rendere complice del processo di studio lo stesso soggetto della ricerca risulta fondamentale quando il contesto di riferimento è quello della salute. Tutto ciò con il fine di costruire soluzioni che tengano conto delle unicità dei pazienti e delle loro esigenze, che sappiano cogliere le peculiarità di ogni needs per tradurlo in soluzioni di valore.

Netnography, gli strumenti digitali a servizio della ricerca anche durante l’emergenza da COVID-19

Il distanziamento sociale dato dalle norme per contenere la diffusione del virus Sars-Cov2 ha dimostrato che anche la ricerca deve muovere i suoi passi tenendo conto delle limitazioni imposte dalla pandemia.
Inoltre, in un ambiente sempre più digitalizzato come quello attuale, nel quale le persone spendono la maggior parte del loro tempo a interagire tramite digital device, diventa imprescindibile integrare a una ricerca effettuata in presenza degli strumenti che sappiano mappare in nuovi contesti sempre più web-based.
I nuovi media rendono osservabili ed accessibili pensieri, comunicazioni, relazioni, emozioni e identità che prima rimanevano privati e nascosti.

La netnography, o etnografia digitale, si basa sostanzialmente sull’osservazione delle azioni degli utenti in rete: cosa dicono, come si comportano e come si relazionano tra loro. Tutto questo è fondamentale anche quando si parla di Salute.
La netnografia integra quindi le informazioni raccolte attraverso gli insight e le rende ancora più fruttuose svelando il senso che si nasconde dietro ai numeri.
Non si deve peraltro dimenticare, come suggerito da Alice Avallone – etnografa digitale – che gli utenti di internet sono in primis persone e proprio per questo motivo l’etnografia digitale assume un ruolo fondamentale nei contesti aziendali: è infatti possibile attribuire un calore umano ed emotivo alla freddezza dei dati raccolti dai medical device, dai tracker digitali e dagli altri strumenti che accompagnano la quotidianità dei pazienti.

Non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo: osservare e convertire per disegnare soluzioni che migliorino la journey di malattia.

Alla luce di quanto analizzato, si può affermare che l’etnografia, una delle tecniche più note dell’antropologia e della sociologia, rappresenta uno strumento fondamentale anche in ambito healthcare.

Affiancando alle sue metodologie più tradizionali le nuove possibilità offerte dal digitale, la ricerca etnografica diventa la base per costruire soluzioni di design aggiornate e soprattutto personalizzabili.

 

 

 

I Podcast nell’healthcare, il potere della voce

Podcast nell'healthcare

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Facilità e flessibilità nella fruizione online e offline, personalizzazione e integrazione con altri strumenti di engagement, utilizzo della voce per instaurare fiducia, coinvolgimento bottom-up degli utenti nella creazione dei contenuti e possibilità di veicolare approfondimenti scientifici: sono queste alcune delle caratteristiche che hanno permesso una crescita nella fruizione dei podcast che ha raggiunto il +217% negli ultimi tre anni.

Ma in che modo questo strumento può essere utilizzato in ambito sanitario per fare awareness sui diversi target?

Podcast healthcare, le potenzialità educative e di awareness

File audio digitali il cui termine deriva dalla fusione di broadcasting (radiodiffusione) e Ipod (il primo lettore portatile di file musicali di Apple), i podcast sono strumenti che coprono diverse fasce di target: i giovani adulti dai 18 ai 30 anni li usano soprattutto per contenuti di intrattenimento e storytelling emotivo. Mentre dai 30 ai 45 anni vengono apprezzati principalmente per approfondimenti verticali.

Una delle caratteristiche che li rende così popolari è sicuramente l’accessibilità e la facilità di fruizione che consente alle persone di ascoltarli sia online che offline senza barriere legate all’infrastruttura di rete. Come sottolinea il rapporto Nielsen del 2019, infatti, tra gli utenti che ascoltano i podcast, il 66% predilige come luogo di fruizione le mura domestiche mentre quasi il 28% preferisce ascoltarli in macchina.

Le potenzialità di questo strumento potrebbero essere utilizzate anche in ambito sanitario, come sottolinea un articolo del 2020 del Journal of Mental Health Counseling, i podcast possono essere considerati come un’evoluzione delle modalità tradizionali educative e di engagement ed essere efficacemente integrati nella pratica clinica.

Pillole di prevenzione, audio-documentari scientifici, approfondimenti su patologie e terapie, nonché diverse tipologie di contenuti psicologici sono alcuni dei possibili contenuti veicolabili tramite audio digitali. Infatti, come sottolinea Prince Barbara nel suo studio scientifico pubblicato sul Teaching Sociology, una delle caratteristiche principali dei podcast è l’estrema personalizzazione. Possono durare da pochi minuti, ideali per pillole quotidiane, per arrivare a un’ora o due di contenuto veicolando approfondimenti scientifici a loro volta facilmente condivisibili in rete. Inoltre, questi file audio digitali possono essere comodamente combinati con altre modalità educative e di engagement.

Una comunicazione rivolta a pazienti, caregivers e healthcare professionals: lo stato dell’arte in Italia

Questo è un mezzo perfetto per creare un’atmosfera di fiducia dove le persone cercano risposte che siano durature”. Così il presidente Bob Pittman di iHearthMedia, azienda con oltre 850 stazioni radio negli Stati Uniti sintetizza uno dei valori principali dei podcast e cioè il fatto che sfruttino la voce come medium per veicolare fiducia e autenticità stringendo una relazione diretta con l’ascoltatore priva di mediazioni, coinvolgente ed emozionante.

Individuare come speaker figure capaci di accorciare la distanza medico-paziente, usare gli stessi rappresentanti dei pazienti per condurre gli interventi, costruire i contenuti dal basso con un coinvolgimento diretto dei destinatari: sono alcuni degli ingredienti per creare podcast di successo capaci di informare, coinvolgere ed educare pazienti, caregivers e professionisti della sanità.

Tuttavia, in Italia i podcast vengono maggiormente utilizzati per la condivisione di contenuti inerenti all’attualità e ai casi di cronaca, con un vertiginoso aumento di tematiche legate all’automiglioramento in tempo di emergenza sanitaria.

A differenza del resto del mondo, in cui sono molte le istituzioni, gli enti, le associazioni pazienti e le industrie farmaceutiche che hanno iniziato a implementare questo strumento per veicolare i propri contenuti rivolti sia ai pazienti che ai caregivers e utilizzati per la formazione e l’aggiornamento dei professionisti della sanità, in Italia sono ancora pochi gli esempi di un utilizzo efficace dei podcast in ambito sanitario.

Si può raccontare la SMA ai bambini tramite una favola a puntate, come ha fatto Biogen, si può lavorare sulla mindfulness come ha fatto Angelini Pharma con il contributo dei professionisti di Psichiatria e Psicologia Clinica dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Alla luce di quanto analizzato, si può dire che i podcast hanno avuto un notevole sviluppo negli ultimi anni, ma nel panorama sanitario italiano deve ancora crescere la consapevolezza verso le potenzialità di questo innovativo strumento di awareness e informazione.