Il ruolo del supporto emotivo nella gestione digitale delle cronicità
Tempo di lettura: 4 minuti
Scopri che tuo figlio è affetto da una malattia cronica e non sai come riorganizzare il nuovo assetto famigliare.
A 45 anni ti viene diagnosticata una patologia rara e devi cambiare lavoro per trovarne uno più consono alla tua situazione attuale.
Saper valutare le emozioni, i cambiamenti e lo stress correlati al vissuto della malattia è imprescindibile per migliorare la qualità di vita del paziente.
In un contesto, come quello italiano, in cui le malattie croniche sono in crescita interessando quasi il 40% della popolazione, non si può trascurare un aspetto fondamentale: l’impatto psicologico. Le malattie croniche rappresentano una condizione che dura nel tempo e che richiede un processo di adattamento, un ruolo attivo e consapevole del paziente stesso nonché il sostegno di caregivers e healthcare professionals, come sottolinea il documento che illustra il ruolo dello psicologo nel piano nazionale delle cronicità .
A partire dalla diagnosi, quando il paziente e il suo contesto socio famigliare si trovano a dover gestire la terapia e il decorso della malattia, il supporto dello psicologo si rivela fondamentale.
La diagnosi di una malattia cronica determina una situazione traumatica, sia nel paziente che nei suoi caregivers, perché́ solitamente è inaspettata, spesso difficile da controllare. Convivere con una patologia cronica comporta grandi cambiamenti nella vita di tutti i giorni soprattutto per quanto riguarda la gestione dei propri interessi o delle attività che abitualmente si praticano.
Lo psicologo ha il compito di fare da collante tra tutte le dimensioni in campo , aiutando il sistema medico-pazienti-caregivers. Questa figura può aiutare i medici nella comunicazione del piano terapeutico, il paziente nell’elaborazione dei vissuti emotivi legati alla malattia, i familiari nel fronteggiare i risvolti pratici ed emotivi della quotidianità.
Il supporto psicologico si digitalizza
Gli smartwatch, i wearable, i cellulari e le applicazioni stanno diventando una parte importante della quotidianità dei cittadini e circa il 41% degli italiani utilizza un dispositivo indossabile per il monitoraggio dello stile di vita ,il 52% usa un’app di messaggistica per chiedere al medico di fissare o spostare una visita e nel 47% dei casi per comunicare lo stato di salute.
In un contesto sanitario che sta implementando percorsi di cura supportati dalla tecnologia come si integra l’aspetto umano del supporto emotivo e psicolgico?
Attraverso strumenti come Skype, live chat e dispositivi sempre connessi anche il modo di fare consulenza psicologica ha subito un mutamento. Esistono infatti applicazioni , denominate in modo generico MHapp, dove MH sta per mental health, che forniscono un supporto psicologico spesso antecedente all’incontro con il proprio psicologo. Esistono anche dispositivi che permettono un contatto on demand con lo psicologo come il dispositivo Capsuled dell’azienda israeliana Vaica, ormai presente anche nel mercato italiano.
Per capire ancora meglio in che modo il ruolo del supporto emotivo si inserisce in un contesto sanitario sempre più digitalizzato abbiamo ftto qualche domanda a Francesca Alboré psicologa, psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Centrata sulla Persona e formata in EMDR.
–Qual è il peso della componente del supporto psicologico nella gestione delle cronicità e nei programmi di supporto al paziente?
Per rispondere a questa domanda è importante ricordare il ruolo della componente emotiva in una patologia cronica che, per sua natura, accompagna la persona per tutta la vita.
La diagnosi segna un momento particolarmente delicato e merita uno spazio di sostegno dedicato in cui è fondamentale sostenere la persona alla ricerca di un nuovo equilibrio. Vissuti come tristezza, impotenza, rabbia e ansia sono difficilmente riconosciuti dal paziente o comunicati all’esterno, spesso per vergogna o paura di diventare motivo di preoccupazione per le persone care.
Uno dei primi meccanismi di difesa, ad esempio, è quello di identificarsi come “malato a vita”, oppure al contrario di evitare con tutte le forze questa etichetta, comportandosi come se la malattia non esistesse, mettendo così a rischio la propria salute.
Bisogna anche sottolineare che il lavoro di supporto psicologico non può e non si deve fermare soltanto al paziente, dal momento che la patologia coinvolge l’intero sistema di cui fa parte. Una parte rilevante del supporto psicologico è perciò rivolta alla rete familiare.
Ecco perché il supporto psicologico è così importante quando ben integrato all’interno dei programmi di supporto al paziente: può sostenere efficacemente il paziente ed i caregiver, fornendo uno spazio di ascolto individuale o condiviso per instaurare i necessari nuovi equilibri o ristabilire quelli perduti.
All’interno dei programmi di supporto grande spazio ha inoltre il lavoro sulle risorse personali, fondamentale per sviluppare, attraverso l’acquisizione di nuove abilità, l’adattamento alle nuove condizioni e la costruzione di nuove abitudini.
Infine, il supporto psicologico fornisce al medico informazioni importanti sull’impatto della malattia e delle terapie sul paziente, offrendo una prospettiva importante rispetto all’aderenza alla terapia.
–L’aumento crescente della componente digitale: una minaccia o un’opportunità?
La relazione è un perno imprescindibile, e non può essere sostituita, ma direi che l’aumento crescente della componente digitale possa rappresentare un’opportunità.
Bisogna considerare la possibilità di uno smarrimento iniziale, dovuto al timore di perdere il contatto umano o di doversi affidare ad un oggetto esterno ma dobbiamo ricordare che queste componenti mirano specialmente ad incrementare la quantità di dati raccolti e a facilitare la comunicazione e, se usati correttamente, possono rappresentare un’ulteriore risorsa per un percorso di salute centrato sulla persona e costruito sui suoi specifici bisogni.
Si va dalla possibilità di effettuare un colloquio attraverso una videochiamata fino alla realtà virtuale che consente, in un ambiente protetto e sicuro, di confrontarsi con stimoli minacciosi (ad esempio un animale per una fobia specifica o una platea di persone per la fobia sociale) oppure di operare con finalità riabilitative (ad esempio per lavorare sulle aree di funzionalità compromesse dall’avanzare del deterioramento cognitivo).
La vera sfida è essere al passo con i tempi, integrando queste nuove modalità all’interno del percorso di terapia senza mai perdere di vista gli obiettivi del processo e la relazione con il paziente.