Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Roberta
“Il tempo di relazione è tempo di cura”
Articolo 4 del Codice deontologico delle professioni infermieristiche.
Vorrei partire da qui per riflettere su che cosa significhi essere un infermiere ai tempi del Coronavirus perché credo fortemente che se da un lato questa pandemia ci chiede di ridimensionare gli spazi che abbiamo a disposizione con i nostri pazienti, dall’altro ci vede costretti ad offrire loro non solo cura e assistenza ma anche un forte supporto emotivo e delle rassicurazioni in un momento storico in cui tutti ci sentiamo un po’ figli dell’incertezza e della paura, spesso anche fragili e impotenti.
Mi chiamo Roberta, sono un’infermiera e se penso a che cosa significhi per me occuparmi di pazienti al domicilio in un momento come questo, mi viene da dire che significa tanto. Significa emozioni, paure, sguardi e distanza.
Quando entro a casa dei miei pazienti è inevitabile percepire la paura negli occhi di chi mi sta di fronte.
Loro sono molto attenti e scrupolosi nei miei confronti, mi osservano… e tra un cambio di guanti e l’altro, uno sguardo quasi nascosto perché la mascherina stringe e le guance salgono… loro sono lì e io sono lì per loro. Ci devo essere.
Cambiano tante cose in tempi come questi, cambia l’approccio, cambia la postura, cambia la distanza, cambia l’accoglienza, cambia la relazione, cambia la dimensione, cambiano i saluti.
Andare a domicilio dai pazienti vuol dire instaurare con loro un rapporto rispettoso e forte, di fiducia. Si creano delle sinergie che hanno un significato importante nella relazione. Con i miei pazienti ho instaurato un forte legame, insomma passo più tempo con loro che con la mia famiglia e loro fanno parte della mia quotidianità.
Se pensiamo che il tempo di relazione è tempo di cura, dobbiamo considerare che i pazienti in questo momento necessitano ancor di più di rassicurazioni e conforto ed è legittimo che questo compito venga in qualche modo richiesto a noi: i tuoi assistiti li conosci bene; riconosci le loro espressioni, le loro smorfie, le parole troncate e le giornate tristi, i giorni spensierati e le risate condivise davanti ad un buon caffè.
Percorro molti chilometri e spesso nei miei viaggi rifletto su quanto sia importate esserci per gli altri, le strade sono vuote, i rumori assordanti non li sento più. Vedo distese di prati e montagne innevate. Cieli limpidi e alberi in fiore. È da qui che mi ricarico di energie e riparto per dirigermi da un altro paziente.
Dobbiamo imparare a vedere la relazione con i nostri pazienti come un qualcosa che in qualche modo cura anche noi, che ci aiuta a rivedere la dimensione relazionale con l’altro anche e soprattutto in termini di distanza perché ad oggi non stringo la mano a nessuno, non abbraccio nessuno per consolazione e questo significa distacco.
Quello di cui sono certa è che quando questa pandemia sarà finita potrò finalmente tornare a vivere i miei pazienti come li vivevo prima, senza panico, senza paure. Tornerò a vivere i miei pazienti nella serenità del rapporto che con loro ho creato, sicura e fiduciosa del fatto che lo stesso sarà per loro.