Essere un infermiere di home therapy ai tempi del Coronavirus: la storia di Gaia
Coronavirus, una parola che in questi giorni rimbomba 24h su 24h nelle nostre teste.
Un virus sconosciuto che in silenzio è entrato delle nostre vite, togliendoci la libertà di vivere la nostra quotidianità e mettendoci tante limitazioni, ma forse facendoci apprezzare i piccoli gesti quotidiani che tanto spesso diamo per scontati: un bacio, un abbraccio, una stretta di mano. Atti normali che oggi sono vietati perché la parola d’ordine è distanza.
Oggi più che mai, in questo blocco del nostro Paese, si sente un’aria completamente diversa e un silenzio surreale. Abituata a svolgere il mio lavoro come infermiera domiciliare e a spostarmi con la mia macchina in una metropoli caotica ed assordante come Roma, mi sono accorta che i rumori si sono fatti ovattati.
Gestire un lavoro delicato come il nostro a contatto così ravvicinato con i pazienti, non è semplice: molti di loro li conosciamo da anni, ma in questi giorni è facile percepire un velo di “paura” quando varchiamo la porta delle loro abitazioni. L’impatto psicologico è molto forte, non vediamo la fine di questa pandemia e come infermieri ci troviamo a dare tante rassicurazioni a pazienti timorosi con patologie complesse che oggi più che mai si sentono più fragili.
Entrando nelle loro case diventiamo dei punti di riferimento e sappiamo il peso che le nostre parole hanno per loro. Empatia e rassicurazione sono fondamentali soprattutto in questo periodo.
Sappiamo che essere infermiere è un lavoro complesso, perché oltre alle abilità tecniche prevede tutta una serie di componenti umane e psicologiche che ogni giorno mettiamo in atto. Noi siamo il nostro lavoro, perché la malattia e il dolore delle persone che incontriamo ce li portiamo sempre dietro, nel nostro zainetto di pensieri anche quando la giornata di lavoro si è conclusa.
Fare l’infermiere, in modo particolare nei programmi domiciliari, ci permette di costruire dei rapporti profondi con i pazienti e ricevere la loro fiducia stimola moltissimo il nostro operato. In questi giorni più che mai, poter ricevere la terapia nel comfort della propria casa è percepito fortemente come un valore: più di un paziente mi ha confermato che avrebbe saltato la terapia se si fosse dovuto recare in ospedale vista la situazione, interrompendo così la continuità terapeutica.
“Andrà tutto bene” è quello che l’Italia ripete a sé stessa come una sorta di mantra per scacciare via i pensieri negativi e io lo voglio ripetere a tutti i colleghi che stanno lavorando negli ospedali e nelle case, a contatto con questo nemico, dimostrando la forza e l’importanza del nostro lavoro.